
“In Baby Reindeer, nessuno è innocente al cento per cento: né la vittima né il carnefice.” Questa frase riassume l’ambiguità morale al cuore della miniserie Baby Reindeer, distribuita su Netflix nel 2024 e subito divenuta un fenomeno di discussione. Basata su una vicenda autobiografica del comico Richard Gadd, la serie racconta la storia oscura e intensa di uno stalking al contrario: un uomo è perseguitato da una donna, in un gioco psicologico perverso in cui i ruoli di vittima e colpevole si confondono. Nel corso di sette episodi densi di suspense e dolore, Baby Reindeer intreccia thriller e dramma psicologico: mostra come un singolo atto di gentilezza – una tazza di tè offerta per compassione – inneschi un’ossessione soffocante capace di devastare due vite. La serie incolla lo spettatore allo schermo grazie a una narrazione tanto appassionante quanto inquietante, mentre affonda nelle profondità della psiche dei personaggi, esplorando trauma, follia d’amore, vergogna e bisogno disperato di essere visti.
In questo saggio condurremo un’analisi narrativa e psicologica approfondita di Baby Reindeer, intrecciando la dimensione clinica – con riferimenti al DSM-5 e alla letteratura specialistica – all’analisi dei personaggi e delle loro azioni, senza dimenticare il significato culturale dell’opera. Esamineremo la psicopatologia dei protagonisti, Martha e Donny, attraverso il prisma di diagnosi come il disturbo delirante erotomanico, il disturbo borderline di personalità, il trauma complesso e fenomeni come la dissociazione, i meccanismi di difesa e l’attaccamento disorganizzato. Approfondiremo le dinamiche relazionali tossiche che legano vittima e persecutrice, mostrando come il trauma passato informi il comportamento presente di entrambi. Attraverso esempi narrativi concreti – scene, dialoghi, momenti emotivi salienti – illustreremo i concetti teorici, rendendo vivi i disturbi psicologici sullo schermo. Rifletteremo sull’ambiguità morale, il senso di colpa e la vittimizzazione reciproca che la serie rappresenta in modo così insolito. Infine, discuteremo il significato sociale e culturale di Baby Reindeer: cosa racconta questa storia sul nostro tempo, sulla percezione della salute mentale, sul concetto di consenso e sulla vulnerabilità umana. Il tutto sarà narrato con uno stile che unisce rigore e poeticità, adatto sia a professionisti della psiche (psicologi, psichiatri) sia a lettori colti e curiosi, mantenendo però un linguaggio chiaro e accessibile.
Trama e personaggi: la caccia alla “piccola renna”
Il protagonista è Donny Dunn (interpretato dallo stesso Richard Gadd), un giovane barista e aspirante comico scozzese che vive a Londra. Un giorno, nel pub dove lavora, entra Martha, una donna sulla quarantina dall’aria sciatta, triste e smarrita. Donny, notando il suo disagio, compie un gesto di gentilezza: le offre gratuitamente una tazza di tè caldo, vedendo che lei non può permettersela. Quest’atto altruistico, in apparenza innocuo, diventa la scintilla di una spirale ossessiva: Martha interpreta quel gesto come un segnale speciale e, da quel momento, si presenta al pub ogni giorno, cercando la compagnia di Donny. La donna si mostra affabile ma immediatamente invadente, raccontando di essere un’avvocata ricca e di successo (affermazioni di dubbia veridicità, dato il suo aspetto dimesso e le difficoltà economiche evidenti). Donny inizialmente ascolta con gentilezza quelle storie improbabili, forse per educazione, forse perché prova istintiva pietà per lei. Non immagina neanche lontanamente che sta per diventare la “piccola renna” braccata dalla cacciatrice: infatti, Martha si trasforma rapidamente nella sua stalker, un’ombra costante e inquietante nella sua vita. (Curiosamente, il termine inglese “to stalk” deriva dal linguaggio venatorio – “pedinare, braccare” – e qui Martha caccia davvero la sua preda umana, il “baby reindeer” su cui proietta il suo bisogno d’amore).
L’ossessione di Martha per Donny cresce in maniera esponenziale e disturbante. Nel corso di circa tre anni, la donna gli invia oltre 41.000 email deliranti e centinaia di ore di messaggi vocali, riempiendolo di lodi, suppliche, minacce e confessioni sovrapposte. Martha monitora ogni aspetto della vita di Donny: lo pedina fino a casa, rimane appostata per 15 ore al giorno a una fermata dell’autobus vicino alla sua abitazione solo per poterlo vedere uscire e urlargli un saluto affettuoso. Grazie ai social network – dopo che Donny ingenuamente le accetta l’amicizia su Facebook alla fine del primo episodio – Martha ottiene accesso a nuove informazioni su di lui, invadendo ulteriormente la sua privacy. Arriva perfino a perseguitare le persone vicine a Donny: contatta la sua ex ragazza, Keeley, tormentandola; sotto falso nome cerca di avvicinare Liz, la madre di Keeley con cui Donny convive, nel tentativo di infiltrarsi nella sua cerchia familiare. Ogni confine viene oltrepassato da Martha senza remore né consapevolezza: la donna non conosce la parola “limite”. La tensione sale a livelli insostenibili quando Martha inizia a presentarsi agli spettacoli comici di Donny, disturbando deliberatamente le sue esibizioni. In un episodio cruciale, irrompe durante un suo spettacolo di cabaret, lo insulta come pubblico ostile, e in seguito aggredisce fisicamente la nuova fidanzata di Donny, Teri, strappandole una ciocca di capelli. Questo episodio di violenza palese costringe finalmente Donny a rivolgersi alla polizia per denunciare Martha dopo mesi di titubanza e paura. Ma, come vedremo, la scelta di Donny di aspettare così a lungo prima di chiedere aiuto non è dovuta solo a ingenuità: affonda le radici nella sua complessa psicologia e nelle ferite profonde del suo passato.
Su questo impianto narrativo – un caso estremo di stalking e violazione della privacy – Baby Reindeer costruisce una storia che va oltre il semplice thriller di persecuzione. La serie scava nel passato di entrambi i protagonisti per rivelare i traumi che li hanno resi ciò che sono e per spiegare il perverso incastro delle loro esistenze. Donny, che all’inizio può apparire semplicemente come la vittima ingenua di una squilibrata, si rivela un giovane uomo segnato da abusi sessuali subiti e da un disperato odio di sé. Martha, lungi dall’essere un “mostro” bidimensionale, emerge come una donna psicologicamente fragile, affamata d’affetto e a sua volta vittima di un’infanzia terribile che l’ha lasciata profondamente sola e incapace di mantenere contatti sani con la realtà. Invece di proporre una facile dicotomia buoni/cattivi, Baby Reindeer ci conduce in un labirinto morale dove empatia e riprovazione si alternano: a tratti proviamo compassione per la solitudine patologica di Martha, a tratti per la sofferenza di Donny; poi restiamo sconvolti dalla crudeltà di lei e dall’irresponsabilità di lui, in un continuo ribaltamento emotivo. Tutto ciò rende la vicenda una sorta di “cattiva storia d’amore” deviata, come suggerisce l’attrice Jessica Gunning (interprete di Martha): “Quasi una storia d’amore tra due anime perdute che si trovano in un momento particolare delle loro vite. Entrambi erano invisibili agli occhi del mondo, prima di vedersi l’un l’altro.”. Questa frase sottolinea il nucleo del racconto: Martha e Donny, pur in ruoli opposti, condividono un vuoto interiore e un dolore che li lega tanto quanto li distrugge.
Nei capitoli che seguono esamineremo prima la psicopatologia di Martha, la stalker, per capire quali dinamiche cliniche possano spiegare il suo comportamento – dal delirio erotomanico al possibile disturbo borderline. Analizzeremo poi il profilo psicologico di Donny, la vittima, esplorando il suo trauma complesso e le ragioni psicologiche che lo hanno reso vulnerabile e in parte “complice” della situazione. Successivamente, approfondiremo il rapporto tossico e codipendente che si instaura fra i due: un legame malsano in cui il bisogno dell’uno alimenta quello dell’altra in un circolo vizioso. Infine discuteremo ambiguità morale e aspetti socioculturali, prima di trarre qualche conclusione su ciò che Baby Reindeer comunica sul tema della salute mentale e delle relazioni nell’epoca contemporanea.
Martha: la stalker bisognosa d’amore – Delirio erotomanico e disturbo borderline
Il delirio erotomanico (Sindrome di De Clérambault).
Martha incarna molti tratti di quello che in psichiatria è definito disturbo delirante, tipo erotomanico. Si tratta di una convinzione delirante in cui una persona crede, senza fondamento, che un altro individuo – spesso di status superiore o addirittura famoso – sia innamorato di lei. L’erotomane interpreta segnali casuali o gentilezze ordinarie come prove di un amore nascosto e si costruisce un intreccio fantasioso in cui la “relazione” è reale, anche se totalmente unilaterale. Nel caso di Martha, il semplice gesto gentile di Donny (offrirle un tè e ascoltarla con un sorriso) viene “caricato” nella sua immaginazione come un segnale romantico potente. Ogni sguardo o parola cortese da parte di Donny è distorto dal filtro del delirio di Martha e diventa una conferma che lui prova qualcosa per lei. Di conseguenza, tutti i comportamenti invasivi di Martha – i pedinamenti, i messaggi incessanti, le apparizioni sotto casa – vengono giustificati nella sua mente come atti d’amore e “avvicinamento” appropriati.
La letteratura clinica descrive spesso l’erotomania come un delirio che può portare a comportamenti di stalking, e questo è esattamente il caso in esame: Martha non accetta la realtà che i sentimenti non siano ricambiati e tenta attivamente di creare la realtà che desidera, agendo come se la relazione esistesse davvero. Nella sua mente, Donny deve amarla, anche se lui la respinge o la ignora; qualsiasi rifiuto viene reinterpretato o negato. Ad esempio, quando Donny non risponde, Martha immagina ostacoli esterni (come “le ex di lui che lo manipolano” o fantomatiche cospirazioni) anziché riconoscere la mancanza di interesse. Questo è tipico: i deliri erotomanici spesso includono l’idea che “qualcuno o qualcosa” impedisca all’oggetto amato di manifestare liberamente i propri sentimenti. Molti casi di stalking sono collegati all’erotomania, soprattutto tra le donne – statisticamente più colpite da questo tipo di delirio – e in situazioni gravi può degenerare in comportamenti violenti contro la vittima, qualora il “sogno d’amore” venga frustrato. Martha, difatti, non esita ad aggredire Teri (la compagna di Donny) né a usare violenza contro Donny stesso (lo vedremo col bicchiere rotto) quando la realtà contraddice la sua illusione. Ciò conferma il rischio evolutivo di un tale delirio: l’erotomane può passare da amante immaginario a persecutore reale nel tentativo di eliminare ostacoli o punire il rifiuto.
Dal punto di vista del DSM-5, Martha soddisferebbe i criteri del disturbo delirante (sottotipo erotomanico) poiché presenta un’idea fissa e falsa di natura erotica (essere amata/legata a Donny) che persiste da mesi, strutturandosi in modo sistematico, senza altre evidenti alterazioni cognitive maggiori. Non sembra infatti avere uno stato confusionale o allucinazioni diffuse: la sua follia è circostanziata alla sfera affettiva. Curiosamente, Martha è abbastanza funzionale in altre aree – a tal punto che possiede (o ha posseduto) un titolo di studio importante: più avanti scopriremo che è davvero laureata in legge. Questo può sembrare in contrasto con la sua comunicazione sgrammaticata e sconclusionata nelle email. La spiegazione, come suggerisce la terapeuta Lori Gottlieb, è che quando Martha è sopraffatta dall’emozione entra in stati di grave disorganizzazione cognitiva: va “fuori di sé”, perdendo contatto con le sue capacità intellettuali e regressive a modalità primitive di espressione. In termini neurologici, possiamo ipotizzare che nelle sue crisi la corteccia prefrontale (sede delle funzioni esecutive superiori, come linguaggio complesso, pianificazione, autoregolazione) vada “offline”, lasciando campo libero alle parti più arcaiche del cervello emotivo. Questo spiega perché nelle sue email Martha appaia semi-delirante e sconnessa (con errori ortografici, frasi ripetute, insulti alternati a suppliche): in quei momenti è in preda a una deregolazione emotiva tale da non riuscire a pensare lucidamente.
Un altro aspetto chiave del delirio erotomanico di Martha è il ruolo dei meccanismi di difesa primitivi, in particolare la proiezione e l’idealizzazione. La sua ossessione non riguarda tanto Donny in sé, quanto le sensazioni che lui le fa provare: Martha “proietta” su Donny i propri bisogni antichi di conforto e amore. In altre parole, non sta inseguendo Donny, ma ciò che Donny rappresenta per lei: la possibilità di sentirsi finalmente vista, amata, speciale. Idealizza Donny attribuendogli qualità straordinarie (lo vede come un uomo buono, divertente, “perfetto” per lei) e contemporaneamente idealizza il legame stesso, convincendosi che sia un amore puro e predestinato. Questi processi di proiezione e idealizzazione sono il carburante che alimenta la sua caccia ossessiva: Martha riempie Donny dei significati emotivi che le mancano – protezione, calore, importanza personale – e poi lotta con tutta se stessa per non perdere quell’illusione, perché equivale a perdere l’unica cosa che dia senso alla sua vita vuota.
Disturbo borderline di personalità e trauma dell’attaccamento. La pura diagnosi di “disturbo delirante” da sola tuttavia non basta a comprendere Martha. Oltre al delirio erotomanico, Martha manifesta tratti marcati di disturbo borderline di personalità (DBP), con reazioni emotive estreme, terrore dell’abbandono e comportamenti impulsivi aggressivi. Il DSM-5 definisce il DBP come “un pattern pervasivo di instabilità nelle relazioni interpersonali, dell’immagine di sé e dell’umore, con marcata impulsività, insorto entro l’età adulta iniziale”. Vengono identificati nove criteri diagnostici principali del disturbo borderline, tra cui: paura intensa di abbandono reale o immaginario, relazioni interpersonali instabili e altalenanti tra idealizzazione e svalutazione, alterazione dell’identità (immagine di sé instabile), impulsività in almeno due aree potenzialmente dannose, ricorrenti minacce o gesti suicidari o di autolesionismo, instabilità affettiva dovuta a reattività dell’umore, sentimenti cronici di vuoto interiore, rabbia intensa e inappropriata con difficoltà a controllarla, ideazione paranoide o sintomi dissociativi transitori legati allo stress. Martha mostra molti di questi aspetti.
In particolare, il terrore dell’abbandono domina le sue azioni: sin dall’inizio, appena percepisce distanza da Donny (ad esempio se lui non risponde a un messaggio), Martha reagisce in modo sproporzionato – tempestandolo di email, facendosi trovare sotto casa sua, oppure minacciando gesti drammatici pur di riagganciare la sua attenzione. Anche se nella serie non è esplicitato, è comune che individui borderline arrivino a minacciare il suicidio o farsi del male per evitare l’abbandono; non sarebbe sorprendente se Martha avesse inviato messaggi di questo tono a Donny (“Se mi lasci, mi ammazzo”), dati i suoi atteggiamenti manipolatori e disperati tipici di un disturbo borderline grave. L’instabilità emotiva di Martha è evidente: passa repentinamente da stati di esaltazione affettuosa (lo chiama “baby reindeer” con tono dolce, lo ricopre di complimenti) a furie violente e odiose quando si sente respinta (urla insulti, fa scenate pubbliche, aggredisce Teri). Questa oscillazione amore/odio riflette il meccanismo borderline della scissione: incapace di integrare aspetti positivi e negativi, Martha vede Donny o come l’uomo ideale che la salverà (quando è disponibile) o come un crudele traditore che la umilia (quando la rifiuta). Non c’è via di mezzo né gradazione: il suo mondo emotivo è polarizzato in bianco o nero.
In Martha possiamo riconoscere anche i crisi dissociative transitorie tipiche del DBP: ad esempio, quando viene sopraffatta dalla rabbia o dal panico abbandonico, sembra “non essere più lei”. Durante la scena del caffè, quando Donny accenna ai suoi traumi, Martha improvvisamente va in escandescenze – inizia a urlare e a battere i pugni sul tavolo in pubblico. I suoi occhi in quel momento sono descritti come “stravolti”, uno sguardo vuoto e furioso: è plausibile che stia vivendo un breve stato dissociativo, in cui perde contatto con la realtà immediata e viene risucchiata dal vortice emotivo interno. Successivamente, dopo aver aggredito Donny con il bicchiere, Martha sembra non ricordare chiaramente l’accaduto, come se fosse entrata in una sorta di trance di rabbia. Questi potrebbero essere esempi di come nei borderline lo stress acuto può portare a derealizzazione o amnesie dissociative momentanee.
Un punto fondamentale è che il disturbo borderline di Martha affonda probabilmente le radici in un trauma infantile, legato all’attaccamento con i genitori. Verso la fine della serie, si scopre l’origine del soprannome “Baby Reindeer” che lei dà a Donny: Martha racconta in un messaggio vocale che da bambina aveva un peluche di renna, il suo unico conforto durante un’infanzia di litigi e violenze familiari. “Era l’unica cosa bella della mia infanzia. Lo abbracciavo quando loro litigavano. E litigavano sempre, sai? … Beh, tu sei sputato a quella renna… Significhi tanto per me“. In queste frasi toccanti c’è la chiave del suo disturbo: Martha da piccola era immersa in un ambiente domestico spaventoso (i genitori “che combattevano di continuo” implicano probabilmente violenza domestica, se non abusi diretti su di lei). Un bambino che vive tale situazione sviluppa spesso un attaccamento disorganizzato verso le figure genitoriali: il caregiver è allo stesso tempo fonte di protezione e fonte di paura, generando nel bambino un paradosso insolubile (non può né avvicinarsi per cercare conforto – perché il caregiver incute timore – né allontanarsi del tutto – perché è dipendente da lui). Il risultato è una disorganizzazione del comportamento e dell’identità: il piccolo non riesce a formare una strategia coerente di relazione, alterna ricerca disperata di vicinanza e manifestazioni di terrore o rabbia verso il caregiver, e rimane bloccato in uno stato di allarme irresolubile. Studi clinici (Main e Solomon, 1986; Lyons-Ruth, 2005) hanno evidenziato che un attaccamento disorganizzato precoce è correlato a successivi disturbi dissociativi e di personalità, in particolare proprio il disturbo borderline. La mente di Martha, formata in quel caos affettivo primario, ha interiorizzato rappresentazioni incoerenti di sé e degli altri, associate a paura e impotenza. Da adulta, ciò si manifesta con la difficoltà a regolare le emozioni e una percezione di sé frammentata – esattamente i nuclei psicopatologici del DBP. Martha “ha bisogno” in maniera patologica di un legame simbiotico (vorrebbe entrare dentro le persone amate per non lasciarle mai) perché da piccola non ha mai sviluppato un senso di sicurezza autonoma: il suo Sé è rimasto incompleto, alla perenne ricerca di un altro che lo completi e lo rassicuri.
Emblematico a questo proposito è il dialogo sui “superpoteri” desiderati, che avviene tra Martha e Donny in un raro momento di confronto aperto. Martha confessa: “Hai mai desiderato poter aprire le persone come con una zip e infilarti dentro di loro? Io lo vorrei… vorrei potermi nascondere dentro qualcuno”. Lei stessa formula con una metafora potente il suo bisogno di fusione totale: vorrebbe abolire ogni separazione fisica ed emotiva, fondersi nell’altro per sentirsi al sicuro e mai più sola. Questo è l’apice del desiderio di vicinanza simbiotica, quasi uterina, tipico di chi ha un attaccamento disorganizzato e teme l’abbandono sopra ogni cosa. Donny, in quella stessa conversazione, risponde che il suo superpotere sarebbe “leggere la mente della gente, per capire cosa pensano davvero di me”. Anche questa rivelazione è significativa: Donny desidera disperatamente essere percepito, sapere di esistere nelle menti altrui. Entrambi dunque rivelano le rispettive ferite: Martha la paura di non essere abbastanza vicina (fino all’estremo di voler entrare nell’altro), Donny la paura di non essere nemmeno notato o considerato dagli altri. Torneremo sul bisogno di Donny più avanti; qui notiamo come Martha esprima un tratto borderline classico – il timore panico di essere lasciata sola – elevato all’ennesima potenza (una “vicinanza” normale non basta, lei vuole annullare il confine tra Sé e altro). Questo indica anche una mancanza di individuazione: Martha non ha una chiara identità separata, si sente “viva” solo quando è fusa in qualcun altro. Non a caso ha idealizzato Donny come suo “orsacchiotto” di conforto, proprio come da bambina aveva la sua renna di pezza.
In conclusione, Martha può essere compresa come un caso in cui delirio ed estrema instabilità emotiva si sovrappongono. Da un lato, il suo amore per Donny ha la qualità di un delirio erotomaniaco, scollegato dal reale e sostenuto da meccanismi di difesa (negazione della realtà, proiezione dei propri desideri, interpretazione paranoide di eventuali rifiuti). Dall’altro, la cornice di personalità entro cui quel delirio si sviluppa sembra essere di tipo borderline, frutto di gravi traumi relazionali infantili: Martha presenta infatti rabbia incontrollata, terrore dell’abbandono, oscillazioni emotive e possibili episodi micro-psicotici (perdita di contatto con la realtà sotto stress). La stessa Lori Gottlieb ipotizza che Martha “si comporti come qualcuno con disturbo borderline di personalità: rabbia intensa, terrore dell’abbandono, minacce di autolesione e sbalzi d’umore rapidi. Ma ha anche perso contatto con la realtà e potrebbe aver sofferto di psicosi, oltre a mania (una persona in fase maniacale potrebbe mandare 50 messaggi di fila). In poche righe, l’analisi clinica individua la complessità del caso: probabilmente Martha non rientra in un’unica etichetta diagnostica, ma vive al confine tra un grave disturbo di personalità e un episodio psicotico affettivo. Quello che sappiamo con certezza, e che anche Donny intuisce, è che Martha è mentalmente molto disturbata e avrebbe bisogno di aiuto psichiatrico più che di punizione. La serie, pur senza assolverla delle sue azioni (che restano criminali), sottolinea più volte questo aspetto: Donny stesso, parlandone alla polizia, dice “Penso che abbia davvero bisogno di aiuto”. Martha è responsabile delle sue condotte persecutorie, ma è al contempo prigioniera di esse e delle sue patologie. È vittima di un passato che l’ha spezzata e l’ha resa incapace di accettare la realtà di un amore non corrisposto.
Donny: la vittima imperfetta – Trauma complesso, vergogna e dipendenza emotiva
Se Martha rappresenta il “persecutore” con un evidente disturbo psichico, Donny è la vittima designata – ma la serie ci mostra presto che anche lui è un personaggio tutt’altro che semplice, portatore di traumi irrisolti e comportamenti contraddittori. Donny all’inizio appare remissivo e ingenuo: tollera le intrusioni di Martha per mesi, prova compassione per lei, cerca persino di farla ridere quando viene al pub vestita in modi eccentrici. Come mai non pone da subito un freno deciso? Perché, nonostante i segnali inquietanti, Donny indulge l’ossessione di Martha, arrivando perfino a flirtare di rimando con lei in alcune occasioni? E perché aspetta così tanto prima di denunciarla? La risposta sta nel bagaglio psicologico di Donny, che lo rende vulnerabile e ambiguo nelle sue stesse reazioni da vittima.
Il trauma segreto di Donny – abuso sessuale e vergogna. La svolta narrativa avviene a metà serie (episodio 4), quando durante la denuncia in polizia Donny ha un flashback improvviso: emergono i ricordi di una vicenda sepolta nella sua memoria alcuni anni prima. A cinque anni prima, al Fringe Festival di Edimburgo, il giovane aspirante comico Donny era stato adescato da Darrien, un affermato autore televisivo sui 50 anni. Darrien si era proposto come mentore, lusingando Donny (lodava la sua comicità stramba, prometteva di farlo diventare una star) e al contempo manipolandolo: lo introdusse alle droghe pesanti, lo rese dipendente dal suo giudizio, alternando periodi in cui lo colmava di attenzioni a periodi di sparizione e critica feroce. In questo contesto, Darrien approfittò sessualmente di Donny: ogni volta che il ragazzo era stordito dalle sostanze, Darrien lo violentava, approfittando del suo stato di incoscienza. Donny ricorda di essersi svegliato dal primo di questi abusi “accartocciato sul pavimento, piangendo” e col senno di poi dice: “Vorrei poter dire che è finita lì”, ma invece “ci sono tornato ancora”. È evidente che Donny fu intrappolato in un ciclo di abusi: la stessa persona che gli dava speranza e gli faceva da figura paterna nell’ambiente dello spettacolo, abusava di lui sessualmente. E Donny, come molte vittime di violenza sessuale con manipolazione emotiva, continuò a tornare dal suo carnefice. Perché? Lui stesso afferma: “ero rapito dalle sue promesse”. Darrien lo aveva groomed, condizionato a tal punto che Donny avrebbe accettato qualunque cosa pur di non perdere la sua approvazione.
Questa esperienza rappresenta un trauma complesso per Donny. Non si tratta di un singolo evento scioccante, ma di un abuso ripetuto e mescolato a dinamiche di attaccamento distorte: Darrien era al contempo un abusante e una figura di riferimento ammirata. La mente di Donny ha faticato enormemente a elaborare questa contraddizione. Egli non ha denunciato Darrien né parlato a nessuno della violenza subita, sprofondando invece in un abisso di vergogna tossica. Come spesso accade nei sopravvissuti ad abusi sessuali, specialmente di sesso maschile, Donny si è dato colpe inesistenti e ha interiorizzato un’immagine di sé come “sporco” o “complice” di quanto accaduto. Si è chiesto perché continuasse a frequentare Darrien nonostante gli stupri: questa domanda, che dall’esterno sarebbe facile da rispondere (“perché eri manipolato e vulnerabile!”), per la vittima diventa un macigno di colpa e dubbio su se stessa. Donny inizia a percepirsi attraverso gli occhi del suo abusatore: “avevo cominciato a vedermi come mi vedeva lui: corrotto, degradato, disumano”. Questa frase, tratta dal flusso di coscienza di Donny, esprime il totale collasso della sua autostima. Darrien non gli ha solo rubato il corpo, ma gli ha instillato un virus mentale: la convinzione di valere nulla, di essere “rovinato”.
Le conseguenze psichiche di questo trauma sono molteplici. Anzitutto, Donny sviluppa un disturbo post-traumatico con caratteristiche complesse: egli vive in uno stato di allerta costante, perseguitato dal ricordo (anche se inizialmente rimosso) e da sensazioni di paura e disgusto di sé. Ogni qual volta si presenta una situazione che riecheggia il trauma, la risposta di Donny è disfunzionale: ad esempio, quando Martha successivamente lo tocca in modo indesiderato, Donny resta immobilizzato. Nella scena in cui Martha lo blocca a un canale e gli mette le mani addosso, magari stringendo i genitali (viene accennato che “lo palpeggia”), Donny rimane paralizzato e con gli occhi lucidi di lacrime, incapace di reagire. Da spettatori potremmo chiederci perché non la respinga con forza – è pur sempre un uomo più giovane e forte fisicamente. Ma rivivendo quella scena dopo aver scoperto il suo passato, la capiamo: è un trigger traumatico. L’azione di Martha risveglia in Donny la memoria corporea dell’abuso di Darrien: la stessa sensazione di essere toccato senza consenso, di avere il corpo tradito. La risposta dissociativa di Donny è tipica delle vittime di trauma: freezing (congelamento). Egli rivive inconsciamente lo stupro subito, e come allora non oppone resistenza – si distacca dal momento presente, gli occhi diventano vitrei, il cuore accelera e lui quasi “spegne” la mente per non sentire. Martha scambia questa reazione per un segnale di gradimento perverso: gli dirà trionfante “ti batteva forte il cuore, l’ho sentito!”, interpretando la tachicardia da panico di Donny come eccitazione. Questa è un’ulteriore tragica ironia: il corpo di Donny, tradendo la sua paura (il cuore impazzito), viene frainteso dall’aggressore come consenso, alimentando ancor più la confusione e il senso di colpa in Donny (“se il mio corpo reagisce così, forse vuol dire che in fondo…?”). In realtà, questa è una nota dinamica delle vittime di violenza: possono avere reazioni fisiologiche involontarie (come erezione o piacere genitale durante uno stupro) che gettano le basi per una profonda vergogna. Donny sa razionalmente di non volere quelle attenzioni da Martha, ma la sua incapacità di opporsi e i segnali del suo corpo lo tormentano, facendolo dubitare di sé.
La psicologa Gottlieb spiega come trauma e confusione identitaria siano strettamente intrecciati in Donny: dopo l’abuso di Darrien, Donny ha iniziato a mettere in discussione la propria sessualità, arrivando persino a confondere l’origine delle sue attrazioni. Egli è attratto da Teri, una donna transgender, ma vive questa attrazione con tormento perché la sovrappone al trauma omosessuale subito: “ha paura che la sua attrazione per Teri e il fatto di provare desiderio per più generi derivi dallo stupro, come se l’abuso avesse ‘risvegliato’ una deviazione in lui”. Donny è cresciuto in una cultura maschilista e omofoba che gli ha inculcato vergogna sia per essere un uomo vittima (percezione di debolezza) sia per la propria bisessualità nascente. Nella sua mente traumatizzata, queste due vergogne si fondono: comincia a credere di essere “sporco” perché violentato e insieme “sporco” perché forse gay o “non abbastanza etero”. Questa è una devastante confusione generata dal doppio stigma: la società gli ha fatto interiorizzare che “non è da uomini” essere violati, e inoltre che “non è da uomini veri” amare altri uomini o donne trans. Donny, trovandosi a provare attrazione per Teri (che è tutto ciò che la cultura retrograda etichetta come “deviante”), la collega erroneamente al trauma: pensa che forse l’abuso abbia rotto qualcosa in lui rendendolo attratto da ciò che prima non lo attirava. In realtà la sua bisessualità probabilmente è parte genuina di lui, ma la vive come contaminata. Per questo manifesta comportamenti omofobi e transfobici verso Teri (la umilia pubblicamente non baciandola in metro, cerca di apparire “etero macho” con gli amici): sono tutte reazioni difensive, tentativi di negare ciò che teme di essere. Donny, in sostanza, sta lottando con un trauma da stupro e con un conflitto d’identità sessuale, il tutto aggravato dall’assenza di elaborazione terapeutica. Non a caso, prima del suo crollo finale sul palco, Donny vive un periodo autodistruttivo: si infila in situazioni sessuali promiscue e rischiose, frequenta locali oscuri, cerca di essere “passato di mano in mano come un giocattolo” – parole sue – nel tentativo disperato di anestetizzare la mente dal ricordo dello stupro. Pensa: “Se mi faccio trattare come un oggetto sessuale da tanti, forse quel primo abuso perderà potere, sarà solo uno dei tanti, non avrà più importanza”. Ma questo è un ragionamento illusorio: infatti egli stesso ammette che sapeva benissimo che non funzionava, che importava eccome, perché stava solo perpetuando la propria degradazione. Eppure, era “bloccato, circondato da maschi misogini eteronormativi al punto che non potevo far altro che desiderare la loro approvazione”. Questa frase sottolinea il contesto sociale tossico in cui Donny è immerso: lavorando in un pub, tra colleghi uomini superficiali e omofobi, si sente obbligato a recitare la parte del “vero uomo” sofferente per una stalker femmina (e quindi eroe virile vittima di una pazza), piuttosto che quella della vittima fragile di un altro uomo. In questo contesto di mascolinità tossica, Donny si rifugia persino nel sarcasmo crudele: di fronte ai colleghi che scherzano su Martha chiamandola la sua “nuova fidanzata”, lui ride e fa battute sessuali su di lei in sua presenza, umiliandola per mostrarsi “uno di loro”. E Teri, la persona che invece genuinamente lo attrae e lo potrebbe amare, la respinge e la ferisce per paura di quello che rappresenta (mettere in gioco la sua vera identità, affrontare il giudizio altrui). Tutti questi comportamenti autodistruttivi e controproducenti di Donny – dai rischi sessuali, al machismo forzato, alla crudeltà verso Martha e Teri – derivano dalla sua profonda vergogna e dal suo odiarsi. Come afferma Gottlieb, “quando sei pieno di odio verso te stesso, il tuo senso di identità diventa fragile. Inizi a porti mille domande: Chi sono? Chi amo? Quanto di ciò che è successo a me mi definisce?”. Donny è immerso in queste domande, e per gran parte della serie la sua risposta implicita è: “Io sono sbagliato, sono colpevole, non merito di stare bene”.
Codipendenza emotiva e complicità della vittima. Una conseguenza paradossale del trauma di Donny è che egli trova nell’attenzione ossessiva di Martha una sorta di anestetico temporaneo al proprio dolore interiore. Per quanto sgradita e folle, l’adulazione incondizionata di Martha gli offre un sollievo dall’odio di sé: con Martha intorno, Donny per un attimo si sente “migliore di come si vede”. Come lui stesso ammette nella serie, all’inizio apprezzava quelle attenzioni: era così intrappolato in un ciclo di auto-disprezzo (dovuto all’abuso) che “ricevere attenzione da qualcuno che lo vedeva come una versione migliore di sé” lo faceva stare bene. Martha lo idealizza, lo chiama “baby reindeer” in modo tenero, gli dice che è bello, speciale – tutte cose che Donny vorrebbe poter credere di se stesso, ma che non riesce più a pensare dopo Darrien. Allora ecco che, quasi inconsciamente, egli “si nutre” dell’idealizzazione di Martha: la sua presenza ossessiva lo distrae dai propri demoni interni e gli dà un effimero ego boost. È per questo che Donny tollera così a lungo lo stalking, e anzi in qualche occasione gioca col fuoco: “Le sue attenzioni mi lusingavano ed erano sufficienti” dice Donny ad un certo punto. Infatti, quando Martha sparisce per un periodo (dopo che lui l’ha minacciata di denunciarla e lei si allontana per qualche tempo), Donny sente un vuoto. Sorprendentemente, comincia a cercarla: rivisita ossessivamente i suoi messaggi vocali, si preoccupa di non vederla più, quasi gli manca la sua stalker! Questo ribaltamento è sconcertante ma rivelatore: Donny stava ormai sviluppando una codipendenza nei confronti di Martha, una dipendenza psicologica dalle dinamiche malate che lei portava nella sua vita. Finché Martha era presente, Donny aveva qualcuno che lo faceva sentire al centro del mondo (seppur in modo tossico) e soprattutto aveva una distrazione costante dai traumi che lo tormentavano. Quando lei scompare, riaffiora tutto il suo senso di vuoto e irrilevanza, costringendolo a confrontarsi con se stesso – cosa che lui non vuole. Perciò la cerca, perché paradossalmente la presenza persecutoria di Martha gli faceva compagnia ed era diventata parte integrante del suo esistere. Questa è una dinamica non infrequente in relazioni tossiche e di abuso: la vittima, specie se ha bassa autostima o traumi pregressi, può sviluppare un attaccamento traumatico verso il persecutore, preferendo la continuazione del rapporto malato alla solitudine o al dover affrontare i propri problemi (una sorta di “sindrome di Stoccolma” emozionale).
Nel caso di Donny, questa codipendenza è ben descritta dall’analisi psicologica: “Donny ha un lato in cui sentirsi approvato e ricercato mette in secondo piano gli atteggiamenti illeciti di Martha”. Lui prova pena per lei (empatia genuina), ma contemporaneamente trae gratificazione dal suo ridere alle sue battute e pendere dalle sue labbra. Quando scopre che Martha è già stata arrestata in passato per stalking, “non riesce comunque ad allontanarla”, proprio perché quell’attenzione lo lusinga e lo fa sentire importante. In definitiva, Donny perpetua in parte lo stalking: nel senso che, pur essendone vittima, con le sue risposte ambivalenti lo incoraggia. Come spiega la Gottlieb, “all’inizio è comune minimizzare o provare pena per lo stalker, ma anche quando diventa chiaro che Martha è disturbata e pericolosa, Donny non si tutela davvero: non informa amici e familiari, non fornisce tutte le prove alla polizia… perché in fondo l’attenzione di lei – per quanto inquietante – lo distrae dai suoi problemi e gli dà una piccola iniezione di autostima di cui sembra avere bisogno”. Questa valutazione coincide con ciò che vediamo sullo schermo: Donny, per sei mesi, non prende misure serie contro Martha; quando va dalla polizia per la prima volta, omette fatti importanti (non racconta che Martha ha un precedente penale, né menziona gli episodi peggiori), quasi a volerle dare una chance in più o a non ammettere fino in fondo la gravità della situazione. Solo dopo che Martha aggredisce Teri e supera ogni limite Donny denuncia – e comunque lo fa in modo tardivo e incompleto, tanto che l’agente di polizia scettico gli chiede: “Perché dopo sei mesi ti decidi solo ora?”. Anche questo interrogativo, che suona quasi accusatorio (vittimizzazione secondaria), riflette il reale senso di colpa di Donny: lui sa di aver procrastinato. E perché? “Non sopportavo l’ironia di denunciare lei ma non lui (Darrien)” confessa. Ecco un’altra ragione del suo indugiare: per denunciare Martha avrebbe dovuto ammettere anche di essere vittima di Darrien, perché nella sua psiche i due fatti sono collegati a doppio filo. Finché taceva su Darrien, tacere (in parte) anche su Martha era una sorta di coerenza inconscia. Inoltre, aggiunge: “C’era sempre la sensazione che lei fosse malata, che non potesse farci niente, mentre lui era un subdolo manipolatore. Ammettere ciò che faceva lei avrebbe significato ammettere anche ciò che aveva fatto lui, e non l’avevo ancora detto a nessuno”. Donny dunque percepisce Martha come meno colpevole perché malata, e in fondo la compatisce (difatti, come visto, prova pena e pensa abbia bisogno di aiuto psichiatrico, non di carcere). Con Darrien invece sente un odio puro ma anche un terrore a nominarlo. Questo spiega la sua esitanza e, ancora una volta, rivela quanto i destini psicologici di Donny e Martha fossero intrecciati: lui non poteva liberarsi di lei finché non avesse affrontato il suo trauma originario. Martha, in qualche modo, era il sintomo visibile di un male più profondo in Donny. Riusciva a odiarla in parte, ma non del tutto, perché percepiva la sua “follia” e la accomunava (a livello subliminale) alla propria fragilità e alla propria sofferenza inespressa.
In sintesi, il personaggio di Donny incarna la “vittima imperfetta”, lontana dallo stereotipo passivo e moralmente intoccabile. Donny compie molti errori: ferisce persone che tengono a lui (Teri), scherza crudamente su Martha alimentando la sua illusione, non pone confini chiari e in un certo senso partecipa alla danza emotiva con la sua stalker. Lo psicoterapeuta Gottlieb infatti commenta: “Il finale ci ricorda in modo inquietante quanto Donny sia stato complice nella dinamica con Martha, e quanto lui stesso ne traesse qualcosa. Abbiamo tifato per Donny affinché si liberasse di Martha, ma alla fine lui non è ancora libero: in un certo senso gli manca, e la sua voce continua a fargli compagnia”. Difatti nell’ultima puntata, dopo l’arresto di Martha, vediamo Donny ascoltare volontariamente i suoi vecchi messaggi vocali perché si sente solo. È un dettaglio struggente: Donny ha ottenuto la tanto agognata pace, Martha è fuori dalla sua vita… eppure lui, seduto da solo al bar, ricerca la voce della sua persecutrice per colmare il silenzio. Ciò conferma che la loro relazione tossica era diventata un perverso vizio emotivo anche per lui. Donny, per quanto vittima di reato, ne era anche dipendente affettivamente. E solo riconoscendo questa scomoda verità ha potuto infine spezzare il cerchio.

Un legame tossico: trauma condiviso e codipendenza tra persecutrice e vittima
Abbiamo analizzato separatamente Martha e Donny, ma è impossibile comprendere Baby Reindeer senza osservare il rapporto di interdipendenza patologica che unisce questi due personaggi. La serie stessa viene definita dagli autori “quasi una storia d’amore” – ovviamente un amore malato, distorto, ma pur sempre un legame di straordinaria intensità emotiva Martha e Donny sono come due anime ferite che si riconoscono nel buio e finiscono per incastrarsi una nell’altra in modo distruttivo ma profondo. In questa sezione, esploreremo la dinamica relazionale tra di loro: come trauma risponde a trauma, in un circolo vizioso in cui entrambi giocano ruoli complementari (predatore/preda, madre bisognosa/figlio bisognoso, salvatore/vittima) scambiandoseli a tratti. Vedremo anche come la narrazione sottolinea più volte i parallelismi tra Martha e Donny, suggerendo che “vittima e carnefice non sono poi così diversi”.
Due lati della stessa medaglia: “nessuno è del tutto innocente”. Baby Reindeer sfida lo spettatore a rivedere continuamente il proprio giudizio sui personaggi. All’inizio siamo naturalmente portati a compatire Donny – giovane gentile molestato da una sconosciuta mentalmente instabile – e a temere/disprezzare Martha, la stalker invasata. Ma scena dopo scena questa percezione si sfuma. Ci sono momenti in cui Martha suscita pena genuina: quando la vediamo piangere fuori dal tribunale, o nel racconto del peluche di renna, appare come una bambina traumatizzata intrappolata in un corpo adulto. Gunning la interpreta con dolcezza bizzarra, non come una figura demoniaca, e questo ce la rende empaticamente comprensibile. Altre volte invece è Donny a mostrarci un volto meno nobile: quando umilia Teri o quando scherza cinicamente su Martha, iniziamo quasi a biasimarlo e a pensare “se l’è cercata” – esattamente il tipo di ragionamento che la serie vuole far emergere per poi criticarlo. In effetti, una delle prime battute in commissariato è il poliziotto che chiede a Donny: “Cos’hai fatto per provocarla?”, insinuando la classica colpevolizzazione della vittima. Questa domanda scandalizza (giustamente) Donny e lo spettatore, ma col tempo scopriamo che un fondo di verità – sebbene non giustificativo – c’è: Donny ha fatto qualcosa, non per “meritare” lo stalking (nessuno merita una violenza del genere), ma certo per perpetuarlo. Lui stesso, come abbiamo visto, ammette di averle dato corda, di aver flirtato e indugiato con lei in parte per vanità. La colpa in senso morale è chiaramente sbilanciata (Martha è l’aggressore che ha violato la libertà e la sicurezza di un altro, Donny legalmente non ha colpe). Tuttavia la serie vuole ragionare sulla responsabilità emotiva più complessa: Donny non è un eroe puramente innocente, né Martha è un “mostro alieno” privo di lati umani. Sono, per citare di nuovo l’articolo di Hypercritic, “due lati della medaglia”, due persone che si intrecciano in una vicenda dove “nessuno è innocente al 100%”. Ciò invita a una riflessione matura: anche nelle situazioni di vittima-carnefice, esistono zone grigie, ambivalenze e corresponsabilità psicologiche (beninteso, non penali). Questo non significa colpevolizzare la vittima, ma comprendere le relazioni disfunzionali nel loro insieme. In Baby Reindeer appare chiaro che Martha e Donny, pur con ruoli asimmetrici, si influenzano reciprocamente: l’ossessione di lei si alimenta dei comportamenti di lui, e la dipendenza di lui si rinforza dalla presenza di lei. Sono come due droghe l’uno per l’altra: tossiche ma, per un po’, gratificanti.
Codipendenza vittima-carnefice. La psicologia delle relazioni di abuso parla spesso di rapporto di co-dipendenza quando la vittima e l’abusatore instaurano un legame patologico in cui entrambi soddisfano (in modo distorto) bisogni emotivi reciproci. Nel caso di Martha e Donny, questo è particolarmente evidente: lei ha bisogno di amare ed essere amata, lui – inconsciamente – ha bisogno di sentirsi ammirato e necessario. Martha assume quasi un ruolo di “falso partner” per Donny: si comporta come se fosse la sua compagna devota, invadendo spazi e relazioni (si intromette con la sua ex, cerca la famiglia di lui) come farebbe una moglie ossessiva. Donny, d’altro canto, finisce per dare a Martha attenzioni e persino intimità emotiva in alcuni frangenti, come se fosse – per un attimo – il compagno premuroso che lei immagina. Emblematico è l’episodio in cui Donny accetta di incontrarla per un caffè e si confida parzialmente sul suo stato d’animo. In quel momento, Martha e Donny sembrano quasi due amici intimi: lui abbassa la guardia abbastanza da farle capire che qualcuno “lo ha ferito in passato” (e infatti lei coglie al volo e chiede furiosa “Chi ti ha fatto del male? Dimmi i nomi!” volendo vendicarlo). Martha reagisce con una protezione ferina verso Donny quando immagina che lui abbia subìto torti: in quell’istante recita la parte della “fidanzata vendicatrice” che vuole difendere l’uomo amato dal mondo esterno. Donny ne resta sconvolto, ma quell’episodio getta luce sul loro legame: si sono riconosciuti come due individui feriti. Martha coglie che Donny nasconde un trauma (“Qualcuno ti ha ferito, vero?”) e ciò la lega ancora di più a lui, perché anche lei è piena di ferite. E Donny, da parte sua, sente per la prima volta non solo paura o disgusto verso Martha, ma forse anche un briciolo di empatia: nel vederla andare in pezzi gridando contro i nemici immaginari che l’hanno fatto soffrire, capisce che Martha stessa sta riversando su di lui le proprie frustrazioni e dolori.
In effetti, come notato da molti commentatori, Martha e Donny “si vedono” l’un l’altro quando nessun altro li vedeva. Donny prima di Martha si sentiva invisibile nel mondo, uno “sfigato” che falliva sul palco e nascondeva segreti orribili; Martha prima di Donny era sola, ignorata e probabilmente sull’orlo della follia completa nel suo isolamento. Quando si incontrano, scatta una sorta di riconoscimento inconscio: due solitudini che collidono. L’esito è tragico, ma per un attimo è come se entrambi trovassero uno scopo: Martha quello di amare qualcuno e dare senso alla sua sofferenza passata (trasformandola in devozione totale), Donny quello di essere necessario a qualcuno e distrarsi dal proprio dolore interno. Questo legame tossico ha dunque radici in esigenze psicologiche autentiche, per quanto distorte. Non è un incontro casuale di preda e predatore: è l’incontro di due traumi complementari che si “incastrano” perfettamente come pezzi di un puzzle nefasto.
Il culmine simbolico di questa codipendenza si ha nelle scene finali in tribunale. Martha, dopo essere stata arrestata, siede dall’altra parte dell’aula rispetto a Donny. Gadd, autore del testo teatrale originale, descrive nelle didascalie che “si incrociano gli sguardi, e non è un momento di spavento, ma solo due persone perdute che si guardano”. Jessica Gunning, che interpreta Martha, cita questo passaggio per spiegare che secondo lei “lì sta il nocciolo del loro rapporto. È chiaro che avevano creato un legame. Poi è andato storto, ma c’era”. Ecco, in quell’ultima occhiata c’è tutto: Martha e Donny si guardano non come nemici, ma come due esseri umani soli e disperati che si riconoscono tali. È un attimo di verità in mezzo alla tragedia. Forse Donny in quell’istante perdona Martha nel suo cuore, vedendo la sua follia come espressione di dolore (lui stesso, andando alla polizia, dice che prova pena perché pensa abbia problemi mentali e bisogno di cure). E forse Martha, nel vederlo lì, comprende a sua volta di avergli causato indicibili sofferenze, anche se la sua mente frammentata non può ammetterlo del tutto.
Traumi speculari e ruoli ribaltati. La serie delinea vari paralleli tra i due personaggi. Uno è che entrambi hanno un trauma sessuale: Donny è stato violentato, Martha con buona probabilità ha subìto o assistito a violenze familiari (se non abuso diretto, di sicuro violenza domestica e trascuratezza da piccola). Entrambi quindi portano le cicatrici di un confine corporeo violato: lei da bambina non aveva protezione né sicurezza nel proprio spazio familiare, lui da giovane adulto è stato abusato fisicamente. Questo elemento condiviso li pone sullo stesso terreno di vittime di qualcun altro. Non è un caso che Martha, percependo in Donny un’analoga vulnerabilità, sviluppi un atteggiamento quasi protettivo come detto (vuole sapere “chi gli ha fatto del male” per eventualmente punirlo). E Donny, dal canto suo, pur avendo paura di Martha, non riesce mai a vederla solo come un mostro, perché intuisce la bambina ferita in lei. Il loro è un incontro di traumi che dialogano: in più punti della serie Donny riflette sul fatto che “si legano per traumi condivisi”. Lo afferma chiaramente Gunning: “Credo che si leghino per un trauma condiviso. È quasi una storia d’amore, in un certo senso – due anime perdute che si trovano in quel momento delle loro vite. Entrambi erano invisibili prima di vedersi”. La visibilità reciproca è un altro parallelismo: come evidenziato, entrambi cercavano disperatamente di essere visti (lei di ricevere attenzione, lui di essere riconosciuto). Nel contorto rapporto stalker-vittima, paradossalmente entrambi ottengono visibilità: Martha diventa il “pubblico numero uno” di Donny (ride a tutte le sue battute, lo segue ovunque, gli fa quasi da fan club personale), Donny diventa lo scopo di vita di Martha (finalmente qualcuno per cui vivere). In una battuta, Donny ammette che all’inizio “quando parlavo con Martha mi sentivo come se lei non mi facesse sentire una comparsa” nella mia vita. È una riga terribile: Donny prima si sentiva una nullità, una comparsa sullo sfondo della propria esistenza dolorosa, ma Martha con la sua attenzione morbosa lo faceva sentire protagonista. Nello stesso tempo, Donny era diventato l’unico protagonista della vita di Martha, che prima era vuota: “Entrambi desideravano essere visti, confermati e amati, e ciò li tiene in un vortice pericoloso e ossessivo che minaccia di inghiottire tutto ciò che Donny ama”. Questo “vortice” è alimentato dal loro odio di sé gemello: “la loro gemellata auto-disistima, così come il desiderio di entrambi di essere visti e amati, li tiene in un vortice pericoloso”. Da notare la parola “gemellata” (twinned): i due condividono un sentimento di indegnità e bisogno affettivo, che li incatena l’uno all’altra.
Nella parte conclusiva, la serie compie un’operazione narrativa audace: scambia i ruoli tra Martha e Donny. Dopo aver fatto arrestare Martha e ottenuto un ordine restrittivo, Donny sembra finalmente libero e anzi trasforma la sua esperienza in successo: salendo su un palco di stand-up comedy, decide di abbandonare la maschera ironica e di raccontare pubblicamente tutta la verità – del suo stalking, ma soprattutto del suo stupro subito e della sua bisessualità. Questo sfogo onesto viene filmato dal pubblico e diventa virale, trasformando Donny da comico mediocre a fenomeno del web e lanciandogli la carriera. Donny finalmente sta “fiorendo”: ottiene ingaggi, riesce persino a confidarsi con i genitori riguardo all’abuso (scoprendo a sua volta che il padre era stato molestato in chiesa – altra eco di trauma generazionale che probabilmente aveva influenzato il clima familiare). Tutto sembra volgersi al meglio: Donny conquista successo e auto-accettazione, Martha è sparita. Ma a questo punto lei lo chiama di nuovo (dalla prigione o poco dopo esserne uscita) e lo minaccia: vuole rivelare ai genitori di Donny i dettagli del suo stupro se lui non le parla. Donny reagisce prevenendo la minaccia – racconta lui tutto ai suoi, liberandosi definitivamente dal segreto e alleggerendosi – e allora, stimolato da un ultimo messaggio di Martha in cui minaccia la sua famiglia, decide di denunciarla ancora, ottenendo infine una condanna a 9 mesi di carcere per Martha e un ordinanza restrittiva di 5 anni. Con Martha definitivamente “fuori dal quadro”, la vita di Donny sembra poter riprendere normalmente: torna a vivere con l’amica Liz, fa pace con l’ex Keeley. Eppure, come abbiamo detto, Donny non è libero interiormente. Nella scena finale, Donny siede da solo al bancone di un bar, di notte, affranto e in lacrime. Si sente ancora solo. Quando il barista gentile gli offre un drink gratis perché lui ha dimenticato il portafogli, Donny scoppia a piangere. È esattamente lo specchio capovolto della scena iniziale in cui Donny aveva offerto il tè a Martha: ora è Donny il cliente triste che riceve compassione da un estraneo, e quell’atto di gentilezza lo travolge emotivamente. Donny capisce di essere diventato Martha, in quel momento: un’anima sola e affranta che agogna un contatto umano. E infatti, proprio in quell’istante di crisi, lui apre il telefono e riascolta i vecchi messaggi vocali di Martha, scegliendone uno dalla cartella “Complimenti”. Ha bisogno di sentire la sua voce che lo idolatra, di nuovo. La serie si chiude con Donny che piange ascoltando Martha chiamarlo “baby reindeer” e spiegare perché lo chiamava così – la storia del peluche e quanto lui significhi per lei. Donny è devastato dall’emozione, perché solo in quel momento capisce davvero tutto: capisce chi era Martha (una bambina ferita che vedeva in lui il proprio pupazzo di salvezza) e capisce anche quanto lui stesso abbia in comune con lei (anche lui, ora, avrebbe bisogno di nascondersi in qualcuno, di essere amato incondizionatamente). La gentilezza del barista lo risveglia a questa realtà: Donny è scoppiato a piangere perché quel piccolo gesto gli ha ricordato la sua profonda solitudine, la stessa che divorava Martha. In una potente chiusura a specchio, Donny si trova nel ruolo che fu di Martha, e un estraneo gentile nel ruolo che fu suo. Il cerchio si chiude in modo poetico e inquietante: ci viene suggerito che la differenza tra lui e Martha non era poi abissale, erano due esseri umani che cercavano amore e comprensione e che, per vie sbagliate, li hanno trovati (e poi persi) l’uno nell’altra.
Questo finale sottolinea l’idea che tra Donny e Martha esisteva un legame profondo e una comprensione reciproca implicita, sebbene espressa nei modi più distruttivi. Donny non è affatto felice dopo la scomparsa di Martha: anzi, sembra quasi sentirne la mancanza, come nota Gottlieb. Ciò può apparire disturbante, ma è fedele alla realtà di molte vittime di stalking o di relazioni abusive: una volta terminato l’incubo, spesso provano sentimenti contrastanti, tra sollievo e paradossalmente vuoto, perché la tensione costante e il ruolo di vittima erano diventati parte della loro identità quotidiana. Donny infatti ammette che proteggere se stesso non era mai stata motivazione sufficiente per agire, “perché non pensava che la propria vita valesse abbastanza”, si attiva solo quando Martha minaccia i suoi cari. Anche questo è indicativo: Donny soffre di depressione e disistima tali che non si preoccupa di salvare sé stesso. Questo spiega perché ha quasi tollerato di essere perseguitato: in fondo, credeva di meritarselo o comunque non gli importava abbastanza di sé. Ecco un altro triste punto di contatto con Martha: anche lei, sotto le grandiosità deliranti, certamente odiava sé stessa e la propria vita (lo si coglie nel suo disperato bisogno di diventare qualcun altro, di vivere dentro altri perché la sua esistenza le fa schifo). Così, nel finale, i due appaiono come specchi l’uno dell’altra: due persone così sole e fragili da trovare conforto solo nelle illusioni (per lei il delirio amoroso, per lui la voce della sua stalker). È una conclusione amarissima ma coerente con la complessità della serie.
In sintesi, il rapporto tra Martha e Donny in Baby Reindeer non è riducibile alla semplice dicotomia aggressore/vittima: è piuttosto un legame codipendente nato dall’incontro di due vulnerabilità estreme, alimentato da dinamiche psicologiche complementari (il bisogno di controllare e quello di essere controllati, il bisogno di adorare e quello di essere adorati, la fuga dalla realtà attraverso la fantasia per lei e attraverso il conflitto esterno per lui). Questo non sminuisce le responsabilità: Martha ha commesso crimini e Donny ne ha subito le conseguenze. Ma a un livello umano più profondo, la serie ci mostra come entrambi fossero prigionieri dei propri traumi e come in qualche modo si siano scelti a vicenda per riviverli. “Non può esserci carnefice se non c’è anche la sua vittima (e viceversa)”, scrive una recensione italiana, sottolineando proprio la reciproca definizione: Martha e Donny hanno dato uno scopo l’una all’altro – tragicamente, certo, ma ognuno ha reso l’altro quello che è (senza vittima non c’è persecutore, e senza persecutore non c’è vittima). Baby Reindeer ha il coraggio di esplorare questo territorio moralmente ambiguo, dove la facile condanna lascia spazio alla comprensione empatica e alla tristezza per due vite spezzate che si sono urtate e ferite a vicenda.
Ambiguità morale, colpa e vittimizzazione: la complessità etica di Baby Reindeer
Uno degli aspetti più originali di Baby Reindeer è l’insistenza sull’ambiguità morale della vicenda. Fin dall’inizio, come già evidenziato, la serie si rifiuta di presentare un eroe senza macchia e un villain monodimensionale. Questa scelta non è comune in storie di stalking, dove di solito la narrazione enfatizza l’innocenza della vittima e la malvagità o follia del persecutore. Richard Gadd, invece, decide di “alzare le mani e ammettere: ho commesso degli errori”, integrando nella sceneggiatura momenti che mostrano il lato meno lusinghiero di Donny. Ad esempio, vediamo Donny cedere ai pregiudizi transfobici (abbandonando Teri per vergogna in pubblico) e ai pregiudizi sessisti (gli scherzi su Martha con i colleghi). Questi comportamenti rendono il personaggio più realistico e fallibile, benché spinti dal suo trauma, e mettono lo spettatore nella posizione scomoda di giudicarlo. Viene da chiedersi: Donny ha un po’ “causato” la situazione? Come discusso, la risposta è no sul piano oggettivo (ha compiuto un atto gentile, niente di più), ma sì sul piano soggettivo: la sua successiva gestione ha contribuito a peggiorare le cose. La serie gioca molto su questa tensione: in più momenti personaggi esterni insinuano che Donny abbia qualche responsabilità. Il poliziotto chiede cosa abbia fatto lui per provocare Martha; Keeley e sua madre Liz, quando scoprono mesi dopo dello stalking, si arrabbiano con Donny per aver tenuto tutto nascosto e averle così messe in pericolo (Martha le aveva contattate sotto mentite spoglie) – al punto che Liz lo caccia di casa per un periodo. Anche Teri, la fidanzata, alla fine lo lascia perché distrutta dalle sue bugie e dal caos che la sua segretezza ha generato (viene aggredita e messa in pericolo senza preavviso). Dunque Donny, pur essendo la vittima originaria, a cascata diventa causa di sofferenza per altri innocenti (Teri, Keeley, Liz). Questo rende difficile attribuirgli una purezza morale. Egli stesso se ne rende conto ed è divorato dalla colpa. Dopo l’aggressione a Teri, vediamo Donny piangere chiedendo scusa, e ammettere infine tutto sia a Keeley sia a Liz nel tentativo di rimediare. Ma è troppo tardi: la fiducia è compromessa, il danno è fatto. Questo tema della colpa è importante perché Baby Reindeer vuole evidenziare come in situazioni del genere la vittima possa provare sensi di colpa enormi, benché razionalmente non colpevole dell’origine dei fatti. Donny si sente in colpa verso tutti: verso Teri (per non averla protetta e averla umiliata), verso Keeley e Liz (per aver portato Martha indirettamente nelle loro vite), perfino verso i suoi genitori (per aver nascosto loro la propria sofferenza e le proprie verità per anni). E ovviamente, come già spiegato, Donny all’inizio si sente colpevole verso Martha stessa: prova pena, la vede come fragile, e ha paura di farle del male respingendola o facendola arrestare troppo presto. Questo ennesimo ribaltamento è interessante: la vittima che si sente in colpa verso il suo persecutore. Donny confessa di non aver detto subito tutto alla polizia anche perché pensava “che era malata, non poteva farci niente”. Nella sua mente, arrestarla subito sarebbe stato quasi un atto crudele verso una poveretta bisognosa d’aiuto. Qui c’è tutta la conflittualità etica: fino a che punto tollerare per compassione qualcuno che però ti sta distruggendo la vita? Donny sbaglia nel prolungare la situazione, e lo paga caro, ma ci viene mostrato perché ha compiuto quegli errori: per ingenuità, per fragilità personale, per il misconosciuto egoismo del martire (ovvero la sottile gratificazione nel sopportare per sentirsi buoni) e per i suoi traumi irrisolti.
Sul fronte opposto, anche Martha viene mostrata con due volti morali. Certo, i suoi atti sono oggettivamente sbagliati e punibili: stalking, molestie, aggressioni fisiche, minacce. La serie non le risparmia momenti di crudeltà orrenda: quando attacca Teri, Martha le urla insulti transfobici e razzisti (Teri è una donna trans di colore), rivelando odio e violenza verbale spaventosi. C’è inoltre una scena in cui Martha rompe un bicchiere in testa a Donny, ferendolo – atto di violenza pura. Eppure, altrove, vediamo di Martha il lato tenero e quasi innocente: la donna buffa che si veste con troppa cura per impressionare Donny (come “una bimba che gioca a travestirsi”, la descrive Donny stesso osservandola arrivare al pub truccata e con vestiti sgargianti fuori luogo), o la persona socialmente goffa che tenta di fare battute ai colleghi di Donny per essere accettata e finisce per umiliarsi. In quelle scene Martha fa quasi pena: appare ridicola e patetica, più che malvagia. Il pubblico “in universi” del pub ride di lei, e a tratti noi spettatori proviamo imbarazzo e commiserazione, un po’ come Donny stesso, che all’inizio “la trova quasi simpatica nella sua stranezza”. Questo pone una domanda morale sottile: quanto Martha è responsabile delle sue azioni, e quanto è invece malata? La serie lascia spazio all’interpretazione. Il terapeuta Gottlieb ipotizza che Martha possa avere anche episodi psicotici e maniacali, il che suggerirebbe forse un disturbo schizoaffettivo o bipolare con psicosi, oltre al borderline. Se così fosse, in quei frangenti Martha non era completamente in controllo della realtà. Certo, è comunque legalmente punibile (come infatti viene punita), ma sul piano etico lo spettatore potrebbe nutrire una certa compassione attenuante. E difatti la prova attoriale di Gunning è calibrata per farci percepire Martha non come un’arpia calcolatrice ma come “un po’ carina e un po’ stramba e un po’ empatica e un po’ svitata”. Ci sorprende perfino con qualche giudizio critico su Donny: in un momento di lucidità, Martha gli dice che la sua comicità “fa un po’ schifo” (lo critica pur essendone fan). Questo la salva dal ritratto della stalker stereotipata che idolatra ciecamente: Martha mantiene del senso critico, è capace di vedere i difetti di Donny e di punzecchiarlo. Ciò la rende più reale e tridimensionale, quindi anche moralmente comprensibile. Non è un automa delirante: è una persona con opinioni e un cervello funzionante a intermittenza. Lì dove la sua volontà entra in gioco (es. decidere di vendicarsi di Teri con insulti transfobici, oppure fingersi amica della madre di Keeley), Martha compie scelte condannabili. Ma poi torniamo a vedere i suoi crolli emozionali, la disperazione totale in certi momenti, e facciamo fatica a provare solo odio.
Questa altalena di giudizio è esattamente ciò che Gadd voleva ottenere, come dichiarato: “Voglio che il pubblico a volte provi dispiacere per Martha, poi dispiacere per Donny, poi di nuovo per lei, poi li odi entrambi”. Il risultato è che Baby Reindeer sfugge a qualsiasi lettura morale semplicistica. Non c’è catarsi da fiaba dove il cattivo viene sconfitto e l’eroe trionfa puro. Al contrario, c’è una catarsi amara e complicata: il cattivo (Martha) viene neutralizzato ma resta una figura tragica di cui percepiamo l’umanità; l’eroe (Donny) vince la sua battaglia ma rimane emotivamente danneggiato e consapevole delle proprie ombre. Si potrebbe dire che la serie invita a una visione non moralistica bensì umanistica: giudica le azioni (stalking e violenza sono sbagliati, punto), ma non demonizza irrimediabilmente l’individuo che le compie; allo stesso modo, solidarizza con la vittima ma la mostra nella sua fallibilità.
Questa complessità moral-psicologica ha un valore culturale importante: in una società spesso affamata di storie manichee e di facile indignazione (basti pensare al genere true crime e alla ricerca di “colpevoli malati” da odiare), Baby Reindeer offre invece un racconto che richiede empatia e riflessione critica. Non a caso Gadd e Gunning hanno espresso disappunto quando, dopo l’uscita della serie, è partita online la “caccia” alle persone reali dietro Martha e Darrien, come se il pubblico volesse ridurre tutto a un mistero da tabloid. Gadd afferma: “Trattare questa storia come un giallo o un pretesto per guardare con morbosa curiosità la malattia mentale di qualcuno le rende un disservizio, riducendo i personaggi a cattivi e vittime unidimensionali. La vita reale non è mai così semplice; la grande arte ce lo insegna.” In queste parole c’è la filosofia di Baby Reindeer: mostrare che la realtà umana è fatta di zone grigie, e che solo riconoscendo le nostre parti oscure e i nostri errori possiamo davvero elaborare i traumi e forse evolvere. Alla fine, Donny fa proprio questo: sul palco, durante il breakdown/confessione, egli “non cerca di apparire perfetto o di raccogliere punti moralisti”, ma si denuda completamente con tutte le sue vergogne, i suoi pregiudizi e i suoi momenti di cattiveria. Questo atto di radicale onestà e presa di responsabilità (pur nel ribadire di essere stato vittima, ammette anche i suoi sbagli) è ciò che lo libera interiormente e trasforma la sua vita. In quell’ultima performance, Donny smette di essere una vittima passiva e diventa autore della propria narrativa, includendo tutte le contraddizioni. Egli dice: “C’era una versione dello spettacolo che avrei potuto fare nel 2019 che mi fa sembrare buono, dove offro la tazza di tè e oh povero me. Ma sarebbe stata disonesta, e se inizi a raccontare una storia mentendo, l’arte non sarà buona”. Così Richard Gadd spiega perché ha scelto di includere anche i lati negativi di Donny. La morale – se ce n’è una – è proprio questa: la verità umana è complessa e va affrontata in tutta la sua scomoda interezza, senza cercare consolatori “buoni vs cattivi”. Questo è un messaggio etico potente che la serie comunica.

Il significato sociale e culturale di Baby Reindeer: trauma, consenso e vulnerabilità nel nostro tempo
Oltre alla vicenda personale, Baby Reindeer offre molti spunti di riflessione sul contesto sociale contemporaneo: dal modo in cui la società percepisce le vittime maschili alla rappresentazione della malattia mentale, fino al ruolo di tecnologia e social media nelle dinamiche relazionali. In questa sezione discuteremo l’impatto culturale della serie e cosa essa rivela o critica del mondo attuale.
Mascolinità, vittime uomo e stigma. Una componente centrale è la rarità (almeno nell’immaginario comune) della situazione rappresentata: un uomo perseguitato da una donna. Nell’opinione pubblica lo stalking è spesso associato all’uomo predatore e alla donna vittima. Baby Reindeer ribalta questa dinamica, portando l’attenzione su un fenomeno meno noto ma reale. Ciò tocca questioni di genere: la violenza contro gli uomini tende a essere un tabù sociale, poco riconosciuto e denunciato. Come nota un articolo, l’idea stereotipica dell’“uomo sesso forte” rende difficile per un uomo ammettere di subire molestie o abusi da parte di una donna, per vergogna o paura di non essere creduto. Donny incarna perfettamente questo: all’inizio è quasi riluttante a raccontare ad altri che una donna corpulenta lo sta spaventando – teme forse di essere deriso, di non essere preso sul serio (e in effetti l’agente reagisce con scetticismo). Il maschilismo tossico circostante lo porta a minimizzare e a “gestire da solo” la questione, peggiorando la sua situazione. La serie mette in luce quanto sia importante liberarsi da questi stereotipi di genere: chiunque può essere vittima e ha diritto di chiedere aiuto senza vergogna. Lo stesso avviene per il trauma di abuso sessuale: Donny tace per anni perché “gli uomini non parlano di queste cose”, temendo di essere giudicato debole o – ancora peggio ai suoi occhi – complice a causa di eventuali reazioni fisiche. Ci vuole una grande evoluzione interiore (e la disperazione della situazione con Martha) perché lui rompa il silenzio. Quando finalmente confessa pubblicamente di essere stato stuprato, e poi lo dice ai genitori rivelando anche la propria bisessualità, Donny compie un atto sovversivo rispetto alla mascolinità tradizionale: mostra vulnerabilità, ammette di essere stato vittima, esce dal guscio della vergogna. Sorprendentemente, questo atto viene accolto con empatia e addirittura lo trasforma da loser a figura di ispirazione (il suo video diventa virale non per ridicolizzarlo, ma perché la gente trova “coraggiosa” la sua vulnerabilità on stage). Questo è un commento interessante sulla nostra cultura: se da un lato persiste lo stigma (tanto che Donny lo teme), dall’altro c’è anche un crescente movimento di sensibilità verso la fragilità maschile. Baby Reindeer contribuisce a questa conversazione mostrando un protagonista maschile che piange, ha paura, chiede aiuto in lacrime alla polizia e alla fine abbraccia la propria fragilità come parte di sé. È un bel messaggio di rottura degli stereotipi di genere: la forza di Donny emerge proprio quando smette di fingere di essere forte. La sua “resa” pubblica – quell’epic breakdown – è in realtà il suo trionfo, perché lo libera e gli guadagna rispetto genuino.
Salute mentale e percezione pubblica. La serie offre uno sguardo sfaccettato sulla malattia mentale attraverso il personaggio di Martha. In molti prodotti di intrattenimento, uno stalker viene rappresentato o come un criminale lucido e perverso, o come un pazzo totale ingestibile. Baby Reindeer rifiuta entrambe queste caricature: Martha è malata, sì, ma non è riducibile a un caso clinico elementare. Lo spettatore la vede a volte come “pazza pericolosa” (quando brandisce un coltello o sbraita inveisce con espressioni vacue), altre come “povera donna disturbata e sola” (quando piange e delira fragilmente). Questa rappresentazione ambivalente riflette la realtà di molti disturbi mentali gravi, in particolare il borderline e i deliri paranoidi: persone che possono essere sociali e intelligenti un momento, e il momento dopo sopraffatte da follia emotiva. Importante è che Baby Reindeer invita alla compassione senza romanticizzare la malattia. Non ci chiede di perdonare Martha o di giustificarla, ma di capirla: ci fornisce elementi (la sua storia passata, le spiegazioni cliniche implicite) che illuminano come e perché sia diventata ciò che è. In questo senso, fa un servizio di sensibilizzazione: tanti stalker hanno patologie come il delirio erotomanico o disturbi di personalità, e in molti casi ciò deriva da traumi e vissuti dolorosi. Questo non li rende meno pericolosi, ma suggerisce che la risposta non può essere solo punitiva. Donny stesso lo dice chiaramente: “non credo che punirla serva, penso le serva aiuto”. C’è dunque una critica implicita anche al sistema: Martha viene infine messa in prigione 9 mesi – e poi? Verrà curata? Riceverà supporto psicologico? Probabilmente no, e infatti la minaccia che possa rifarlo resta (il suo amore per Donny non si spegne certo con 9 mesi di carcere). La serie, mostrando la sofferenza intrinseca di Martha, implicitamente suggerisce l’importanza della cura psichiatrica per persone così, prima che compiano gesti violenti. In una battuta finale, Gottlieb commenta: “Ho continuato a sperare che sia Donny sia Martha avessero fatto terapia anni prima che tutto ciò accadesse, perché molti di questi incubi si sarebbero potuti evitare. Se non affronti i tuoi problemi, essi usciranno in altri modi.”. Questo è un monito sociale chiaro: investire in salute mentale e incoraggiare le persone a curare i propri traumi potrebbe prevenire tragedie. Donny e Martha sono due esempi: entrambi non hanno elaborato i loro traumi, e questi sono “usciti” in forma di una relazione tossica devastante.
Consenso e confini nell’era digitale. Un altro tema è come la tecnologia moderna abbia amplificato certe dinamiche. L’ossessione di Martha viene alimentata dai social media: il semplice click di Donny “Accetta richiesta di amicizia” su Facebook apre una falla enorme nella sua sicurezza. Martha ottiene foto, informazioni sui suoi amici e familiari, spunti per contattare altre persone, e soprattutto un canale diretto di messaggistica sempre aperto verso di lui. Baby Reindeer illustra bene come lo stalking digitale sia parte integrante del fenomeno: Martha invia decine di migliaia di email e messaggi, una mole impensabile prima dell’era internet. Inoltre crea falsi account, sfrutta la tracciabilità online di Donny per sapere dove si trova o con chi (forse lo vede taggato in foto?). Questo evidenzia la vulnerabilità contemporanea: la nostra vita condivisa in rete può esporci a intrusioni e violazioni continue se incrociamo individui ossessivi. Il caso di Donny mostra anche l’inesperienza iniziale con cui trattiamo queste situazioni: lui ingenuamente accetta amicizie e non blocca Martha finché è troppo tardi, sottovalutando il potere di quell’accesso. Questo serve da promemoria allo spettatore: attenzione ai confini digitali, perché una volta aperta la porta, chiuderla è difficile.
Il tema del consenso appare in varie forme nella serie. Ovviamente, la questione macro è che Donny non acconsente a niente di ciò che Martha fa, e ciò nonostante lei persevera – classico caso di violazione del consenso nelle attenzioni. Ma ci sono anche situazioni più sfumate: per esempio, la rappresentazione delle aggressioni sessuali su Donny evidenzia come la mancanza di consenso non sempre sia urlata o plateale. Donny non dice mai “no” esplicito a Darrien, perché è drogato e confuso; non spinge via Martha quando lo palpeggia, perché congela. Ciò non rende quelle esperienze meno abusive. La serie riesce a trasmettere molto bene l’idea che consenso significa partecipazione attiva e libera – e se una persona è incapace di reagire o è manipolata, non c’è consenso. È un messaggio importante, in linea con il dibattito attuale (#MeToo e oltre): sfata il mito che “se non hai detto no, allora volevi”. Donny “non dice no” né a Darrien né a Martha nell’immediato, e tuttavia è evidentissimo (a noi e poi a lui stesso quando elabora) che ha subìto violenze. Questo può aiutare a comprendere e dare voce a quelle zone grigie dove la vittima non reagisce “come dovrebbe” e poi si auto-colpevolizza. Baby Reindeer afferma: la colpa resta di chi ha abusato della situazione, mai di chi ha subìto in silenzio perché bloccato dal trauma o dalla paura.
Rappresentazione LGBTQ+ e diversità. Nella serie c’è anche il tema di Teri, donna transgender amata da Donny. Sebbene personaggio secondario, Teri è tratteggiata in modo positivo: è presentata come “paziente, comprensiva, una terapeuta di professione” quindi una figura saggia. Il fatto che Donny sia attratto da una persona trans viene mostrato con naturalezza (il dramma sta solo nella sua vergogna interna, non certo in Teri). E quando Donny la ferisce abbandonandola sul treno, la colpa è chiaramente di Donny e della sua confusione, non certo di Teri o della relazione in sé. Baby Reindeer quindi include una storyline LGBTQ+ senza stereotipi negativi – anzi, Teri è forse il personaggio più equilibrato e gentile dell’insieme. Questo dettaglio arricchisce il discorso sul consenso e sulle insicurezze maschili: Donny deve fare i conti con il proprio orientamento in un contesto transfobico, e purtroppo cade vittima dei pregiudizi (prima li subisce internamente, poi li riversa su Teri). La serie denuncia chiaramente la transfobia come qualcosa di esecrabile: la scena in cui Martha insulta Teri ferocemente è difficile da guardare, e di certo non dipinge Martha sotto buona luce in quel frangente. Anche questo è un commento sul nostro tempo: il tema della transfobia e dell’accettazione delle persone trans è attuale e la serie lo tocca mostrando quanto quel pregiudizio ferisca (Teri ne soffre, Donny stesso ne è condizionato negativamente).
Il potere catartico dell’arte e della narrazione. Un meta-tema culturale è proprio la scelta di Gadd di trasformare la sua esperienza traumatica in un’opera teatrale (prima) e televisiva (poi). Baby Reindeer mostra nel finale come raccontare la propria storia possa essere terapeutico: Donny vince la sua vergogna quando la mette in scena, e questo gli porta non solo sollievo personale ma anche successo pubblico – segno che la società è affamata di verità autentiche su temi difficili. In un’epoca di condivisione virale, le storie di trauma e riscatto trovano vasta risonanza (il video di Donny diventa virale perché colpisce la vulnerabilità sincera che lui esprime). Ciò è interessante: oggi i media e i social amplificano sia gli aspetti negativi (stalking, hate speech) sia quelli positivi (sensibilizzazione, empatia collettiva per un racconto toccante). Gadd scegliendo di pubblicare la sua vicenda ha contribuito a rompere silenzi su questioni come gli uomini vittime, e ha offerto uno spunto di riflessione al pubblico. La serie, oltre all’intrattenimento, ha quindi un effetto di awareness: chi la guarda forse d’ora in poi penserà con meno scetticismo a un uomo che denuncia uno stalking o un abuso, e capirà di più i meccanismi psicologici coinvolti.
In definitiva, Baby Reindeer dice molto del nostro tempo: parla di solitudine urbana, di persone che cadono attraverso le falle del sistema di supporto e si perdono nelle proprie menti; parla di come il bisogno d’amore e attenzione, frustrato nella vita reale, possa degenerare in comportamenti estremi (e qui viene in mente anche la cultura dei fandom ossessivi, degli stalker delle celebrità – Martha ne è un esempio, solo che la sua “celebrità” è un comico sconosciuto, il che rende la cosa ancora più triste e “comune”). Parla della fragilità maschile nascosta dietro facciate di machismo, e di come i ruoli di genere stiano cambiando (Donny trova il suo valore non nell’essere macho ma nell’essere vulnerabile e onesto). E parla, a livello universale, della vulnerabilità umana: tutti noi possiamo ritrovarci in quell’immagine finale del “cervo accecato dai fari” – il titolo del capitolo finale suggerito da Hypercritic, un cervo (reindeer) paralizzato dalla luce che gli arriva addosso. Quell’immagine è metafora di quando la vita (i traumi, gli eventi) ci investe come un’auto improvvisa, lasciandoci congelati, incapaci di reagire. Martha e Donny sono entrambi cervi impauriti nel fondo delle loro anime. La serie, con sensibilità, ce lo fa vedere, esortandoci a provare empatia anche per chi commette errori sotto il peso dei propri traumi.
Conclusione
Baby Reindeer è un’opera che si distingue per il coraggio con cui affronta temi psicologici complessi attraverso una narrazione coinvolgente e poetica. In circa 7 episodi – corrispondenti a poche ore di visione, ma carichi di tensione emotiva – la serie riesce a dipingere un quadro sfaccettato di due vite al limite, legate da un filo oscuro. Abbiamo esplorato la psicopatologia di Martha, la stalker, scoprendo in lei non la caricatura della “pazza malvagia” ma una donna affetta da delirio erotomanico e probabilmente da un disturbo borderline radicato in traumi infantili di attaccamento. Abbiamo analizzato Donny, la vittima, andando oltre la superficie della vittima innocente per capire le sue ferite nascoste: l’abuso sessuale subito, la vergogna corrosiva, i meccanismi di difesa (dalla negazione alla dissociazione) che lo hanno spinto a comportamenti ambivalenti e autodistruttivi. Dall’interazione di queste due psicologie deriva la relazione tossica e codipendente che è il fulcro della storia: un vortice in cui entrambi ottengono qualcosa e allo stesso tempo perdono sé stessi. Abbiamo visto come la serie sfumi i confini tra vittima e carnefice, presentando un racconto morale complesso che rifugge da giudizi netti per abbracciare la contraddizione: Martha e Donny sono allo stesso tempo vittime (di traumi, di stigma sociali) e colpevoli (di violenza lei, di errori lui), e proprio in questo risiede la tragica umanità della loro vicenda.
Infine, Baby Reindeer si staglia come un affresco del nostro presente: un’epoca in cui la solitudine può portare a gesti disperati, in cui i social media possono essere armi a doppio taglio, e in cui temi come il consenso, il genere, la salute mentale reclamano una discussione onesta. La serie rappresenta la salute mentale con uno sguardo non stigmatizzante ma neanche edulcorato: mostra la sofferenza reale dietro la “follia” e l’importanza di affrontarla con terapie e comprensione, invece di relegarla nell’ombra del pregiudizio. Tratta il consenso evidenziando le aree grigie e l’importanza di superare il silenzio e la vergogna, soprattutto per le vittime maschili di abusi. Mette in scena la vulnerabilità come chiave di svolta: Donny trova la via d’uscita solo accettando di essere vulnerabile, raccontando la sua storia nella sua interezza, trasformando il dolore in arte e condivisione. In questo senso, Baby Reindeer è anche un esempio di metanarrazione terapeutica: Richard Gadd, scrivendo e interpretando questa storia, compie egli stesso un atto catartico. Come dice Arabella in I May Destroy You (un’altra opera su trauma e guarigione citata in Baby Reindeer), la vera evoluzione di sé passa attraverso una “radicale empatia per noi stessi e per gli altri”. Ed è proprio questo il sentimento con cui si chiude la serie: un’empatia radicale verso tutti i personaggi – non un’assoluzione, ma un capire profondo. Lo spettatore, come Donny, finisce per piangere non di rabbia o di sollievo, ma di una commozione dolceamara, ascoltando le parole finali di Martha che spiegano l’origine del suo amore malato. Sono parole semplici e infantili, ma potentissime, che colpiscono come lame e insieme curano: “Eri l’unica cosa bella della mia infanzia… Tu… tu significi tanto per me”. In quel momento capiamo che, al di là di tutto, Baby Reindeer è la storia di due esseri umani disperatamente in cerca d’amore in un mondo che li ha feriti. Ed è una riflessione sul fatto che a volte l’amore, quando è distorto dal trauma, può diventare distruzione; eppure la via della guarigione passa ancora dall’amore – amore per se stessi, amore sano verso gli altri, empatia e perdono.
In conclusione, Baby Reindeer non offre risposte semplici né consolatorie. Non tutti i mostri vengono sconfitti (i fantasmi interiori restano), non tutte le ferite si rimarginano perfettamente. Ma, nel dar voce a questi personaggi spezzati, la serie compie un atto di verità e di compassione che colpisce al cuore lo spettatore. Ci lascia con molte domande e con un’importante consapevolezza: che dietro ogni vittima e ogni carnefice c’è una storia umana complessa, fatta di scelte, sbagli, dolori e forse speranze. Riconoscere questa complessità è il primo passo per comprendere davvero la psiche e la società, e per tendere – come fa Donny all’ultima immagine – un fazzoletto di empatia sulle lacrime di chi soffre.
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