Attraversare il dolore del lutto: tra sofferenza, relazioni e speranza

Se stai leggendo queste righe, probabilmente hai perso qualcuno che amavi. Forse ti senti come se una parte di te se ne fosse andata con quella persona e ora il dolore occupa ogni angolo delle tue giornate. Prima di tutto, lascia che ti dica che mi dispiace profondamente per la tua perdita. Non esistono parole magiche in grado di cancellare la sofferenza che provi, ma sappi che ciò che senti è normale e che non sei solo ad affrontare questo cammino così difficile. In questo articolo troverai un abbraccio ideale, un po’ di conforto e alcune riflessioni che spero possano aiutarti a sentirti compreso e meno solo nella tua esperienza di lutto.

Perdere una persona cara è una delle esperienze più dolorose che la vita può riservarci. Chi sta attraversando un lutto spesso descrive la sensazione come un vuoto enorme, un pezzo di cuore strappato via, o un’ombra che avvolge ogni cosa. È un dolore che sconvolge, che può lasciare spaesati, arrabbiati, disperati. Questo articolo è rivolto proprio a te che stai vivendo un dolore così grande, ma anche a chi desidera comprendere meglio cosa accade quando si perde una persona amata: familiari, amici, e persino colleghi psicologi che accompagnano le persone in lutto. Parleremo con un tono umano ed empatico, ma facendo riferimento anche a ciò che la psicologia e l’esperienza clinica ci insegnano sul lutto, sulle dinamiche della mente e delle relazioni in questi momenti.

Inizieremo accogliendo le emozioni intense che il lutto porta con sé, per poi esplorare come questo dolore si trasforma nel tempo. Rifletteremo sulle reazioni psicologiche comuni – dalla negazione iniziale alla rabbia, dalla tristezza profonda alla ricerca di un senso – sottolineando però che ogni storia di perdita è unica. Parleremo delle persone intorno a te: di chi ti sta vicino davvero e di chi, invece, potrebbe allontanarsi o non sapere come comportarsi di fronte al tuo dolore. Vedremo come il lutto possa mettere alla prova le nostre relazioni più care, a volte facendo emergere amicizie insospettabili o, al contrario, delusioni da parte di chi credevamo amico. Affronteremo anche un tema delicatissimo: il lutto in caso di suicidio di una persona amata. Questo tipo di perdita porta con sé domande e sentimenti particolari – sensi di colpa, vergogna, rabbia e smarrimento – che meritano un’attenzione speciale e una grande sensibilità.

L’articolo è suddiviso in sezioni tematiche ben distinte, così potrai scegliere di leggere tutto con calma oppure soffermarti sui punti per te più importanti. Troverai consigli pratici su come affrontare giorno per giorno il dolore, riflessioni su come la società vede il lutto (e su come spesso tende a evitarlo come argomento “scomodo”), e uno sguardo su come, col tempo, sia possibile ritrovare un po’ di luce e significato nella propria vita pur portando dentro le cicatrici della perdita. Non c’è una soluzione facile o veloce per “superare” un lutto – e infatti forse superare non è neanche la parola giusta, perché non si tratta di dimenticare o cancellare, ma di imparare a convivere con l’assenza.

Ti invito a proseguire la lettura come se stessimo facendo una chiacchierata: immagina che siamo seduti comodamente, magari con una tazza di tè caldo, e che io cerchi di rispondere alle domande e ai pensieri che potresti avere in questo periodo buio. Non troverai giudizio, né istruzioni rigide su cosa “devi” fare: ogni suggerimento andrà adattato a te, al tuo modo di essere e al tuo modo di sentire. In questo viaggio attraverso il dolore del lutto, rispetto e comprensione saranno le nostre guide.

Il dolore della perdita: capire cosa stai provando

Quando perdiamo qualcuno di caro, il primo impatto emotivo può essere devastante. Nei primi momenti (o anche giorni e settimane) potresti sentirti come intorpidito, quasi incapace di realizzare davvero cosa è successo. Molte persone raccontano di aver vissuto i primi giorni dopo la morte di una persona amata come in una sorta di bolla o di sogno: si muovono e compiono gesti quasi automaticamente – organizzare il funerale, parlare con i parenti, sbrigare le faccende burocratiche – ma con la mente annebbiata, come se la realtà fosse troppo distante o troppo dolorosa da afferrare per intero. Questo stato di shock iniziale è una reazione normale e, in un certo senso, protettiva: la nostra psiche spesso ha bisogno di tempo per registrare un cambiamento così radicale, per accettare che davvero quella persona non c’è più. Potresti alternare momenti in cui ti sembra di stare quasi “bene”, in cui sei incredulo e magari perfino calmo, ad altri in cui il dolore ti travolge all’improvviso con una forza travolgente. Tutto questo rientra nel modo in cui molte persone vivono il lutto, specialmente nelle fasi iniziali.

Col passare del tempo, quando lo shock si attenua, il cuore inizia a percepire pienamente l’assenza. È qui che spesso subentra una tristezza profonda, quella sensazione di vuoto e di mancanza che probabilmente conosci fin troppo bene. Ti alzi al mattino e, per un istante, forse dimentichi ciò che è successo… ma subito dopo la realtà ti piomba addosso e senti di nuovo quel peso sul petto. Ogni cosa può diventare un doloroso promemoria: un oggetto personale, una stanza vuota, una fotografia, una canzone, persino un profumo o un piatto preferito. È come se la persona cara fosse ovunque e, allo stesso tempo, da nessuna parte. Questi momenti possono scatenare ondate di emozione intensissima: pianti improvvisi, nostalgia lancinante, desiderio di poter anche solo per un attimo riabbracciare chi hai perso. Se ti succede questo, sappi che è naturale. Il dolore del lutto arriva a ondate; a volte sembra placarsi, altre volte torna più forte di prima, in un altalenarsi che può farti sentire come sulle montagne russe emotive.

Oltre alla tristezza, ci sono tante altre emozioni che possono farsi sentire, alcune delle quali possono sorprenderti o farti sentire in colpa. Ad esempio, la rabbia è un sentimento molto comune nel lutto, anche se a prima vista potresti non aspettartelo. Arrabbiato con chi? A volte con se stessi (“Perché non ho fatto di più? Perché non ho capito in tempo cosa stava succedendo?”), a volte con gli altri (magari con i medici, se senti che non hanno fatto abbastanza, o con familiari, o con amici che non capiscono il tuo dolore), altre volte perfino con la persona che se n’è andata (“Come hai potuto lasciarmi? Perché mi hai fatto questo?”). Provare rabbia verso chi è morto può farci sentire terribili, perché pensiamo che dovremmo solo provare tristezza o rimpianto, e invece ecco lì quel sentimento scomodo. Ma sappi che è più frequente di quanto immagini: la rabbia è parte del lutto per molte persone, fa parte del nostro tentativo di trovare un colpevole, un bersaglio al dolore insensato che proviamo. E spesso non c’è un bersaglio logico, quindi la mente lo trova dove può, anche ingiustamente.

Un’altra emozione comune è il senso di colpa. Ci si colpevolizza per mille motivi: per le ultime parole dette (o non dette) alla persona cara, per non essere stati presenti in un certo momento, per essere vivi noi mentre l’altro non c’è più. La mente ripercorre gli eventi cercando errori, pensando a tutti i “se solo avessi…”. Questa tendenza è naturale: è come se cercassimo un controllo su qualcosa che in realtà controllo non aveva. Attribuirsi colpe retrospettive è un modo (doloroso) di dare un senso a ciò che senso non ha. Ma razionalmente sappiamo, in fondo, che nessuno di noi è onnipotente: non possiamo prevedere ogni evento né impedire la morte, quando essa arriva. Col tempo, lavorando su questi pensieri, si può arrivare a capire che abbiamo fatto il meglio che potevamo con le informazioni e le forze che avevamo in quel momento. Tuttavia, all’inizio è probabile che questi rimorsi affiorino, ed è importante riconoscerli senza lasciarsene divorare. Se senti colpa, prova a pensarla come una testimonianza dell’amore e della responsabilità che sentivi verso quella persona: ti importa talmente tanto che sei portato a pensare che “avresti dovuto fare di più”. Col tempo, potrai forse vedere che questo è anche un omaggio alla relazione che avevate, pur sapendo razionalmente che non hai voluto il male che è successo.

Accanto a tristezza, rabbia e colpa, può esserci anche paura e ansia. Sì, perché un evento luttuoso ci sbatte in faccia una realtà che normalmente teniamo sullo sfondo: la fragilità della vita, nostra e di chi amiamo. Potresti scoprire di avere improvvisamente molta paura che succeda qualcosa agli altri tuoi cari, oppure a te stesso. Oppure potresti sentirti in ansia perché non sai come affronterai il futuro senza quella persona al tuo fianco: “Come farò senza di lui/lei? Come saranno le mie giornate? Chi si prenderà cura di me, o di chi prima accudivamo insieme?”. Il mondo intero sembra meno sicuro dopo che la morte fa irruzione nel tuo personale universo. Anche queste paure sono normali. Condividendole con qualcuno di fidato – un amico, un familiare, uno psicologo – piano piano puoi rimetterle in prospettiva, ma all’inizio è comprensibile sentirsi improvvisamente vulnerabili e spaventati.

E poi c’è la disperazione, quel sentimento di buio profondo in cui ti sembra che niente abbia più senso. Ci sono momenti, specialmente quando la perdita è molto fresca, in cui alzarsi dal letto può sembrare inutile, in cui nulla riesce a dare sollievo e tutto appare grigio e senza scopo. Se ti senti così, è importante che tu sappia due cose: primo, non c’è niente di “sbagliato” in te – stai attraversando un dolore immenso e la tua psiche sta reagendo come può; secondo, anche se ora è difficile da credere, quel buio pesto non durerà per sempre a quel livello di intensità. Il lutto è un processo, un percorso attraverso la notte, e anche se ora vedi solo tenebre, ci saranno pian piano dei bagliori all’orizzonte. Quando? Ognuno ha i suoi tempi, e non c’è fretta né una scadenza da rispettare. Ma succede, gradualmente: il dolore crudo comincia a trasformarsi, la mente e il cuore iniziano a trovare modi per adattarsi all’assenza. Questo non significa che “passerà del tutto” – perdere una persona amata ci cambia per sempre, in un certo senso – ma la forma del dolore cambierà, diventando più sopportabile, lasciando spazio anche ad altri colori nella tua vita. Di questo parleremo meglio più avanti, quando affronteremo il tema di come il lutto evolve e di come sia possibile trovare una nuova normalità.

Prima di passare oltre, c’è un ultimo punto da sottolineare su ciò che potresti provare: la sensazione di sentirti “strano” o incompreso. Ogni lutto è diverso, e magari tu stesso stai reagendo in un modo che non ti aspettavi. Ci sono persone che all’inizio non riescono a piangere neanche una lacrima e si domandano “ma cosa c’è che non va in me? Non volevo bene al mio caro?”. Altre, al contrario, piangono tutti i giorni e si chiedono se stanno esagerando, se dovrebbero “darsi una regolata”. C’è chi prova sollievo (ad esempio quando la persona che è morta era da tempo malata e sofferente, o quando la relazione con quella persona era conflittuale) e poi si vergogna moltissimo per quel sollievo. Qualunque sia la tua reazione, sappi che il ventaglio delle risposte umane alla perdita è ampio. Non esiste un modo “giusto” e uno “sbagliato” di reagire. Esiste il tuo modo. Può essere utile conoscere le reazioni comuni per capire che non siamo soli e folli nelle nostre emozioni, ma allo stesso tempo è fondamentale riconoscere che ogni lutto è a sé. La psicologa Elisabeth Kübler-Ross ha descritto le famose cinque fasi del lutto (negazione, rabbia, contrattazione, depressione, accettazione) e questa sua teoria è diventata molto popolare proprio perché ha aiutato tante persone a dare un nome a ciò che provavano. È importante però chiarire un equivoco: quelle fasi non sono una sequenza obbligata né uguale per tutti. Non devi pensare di doverle vivere tutte o in ordine. Piuttosto, considerale come possibili stati d’animo che possono presentarsi nel percorso del lutto. Alcune persone provano più rabbia che tristezza, altre viceversa. Alcuni sperimentano momenti di negazione (“non ci credo, non è possibile”) altri no. C’è chi si sente combattuto a cercare di contrattare con la realtà (“Se faccio questo, forse mi ridarai indietro la persona che ho perso, destino…”) e chi non passa da questa fase. Insomma, il modello delle cinque fasi serve a dire: “Guarda, è normale se in certi momenti sei furioso, in altri disperato, in altri incredulo”. Non è però una tabella di marcia da seguire.

In sintesi, ciò che stai provando – per quanto caotico, doloroso e logorante – fa parte dell’esperienza umana del lutto. È una testimonianza del fatto che hai amato e che ami ancora profondamente quella persona. Il dolore più acuto, col tempo, tenderà ad affievolirsi. Ma ora, mentre lo senti vivo e tagliente, concediti di sentirlo. Può sembrare strano, ma dare spazio al dolore – piangere, parlare di chi hai perso, esprimere la tua tristezza o la tua rabbia – è uno dei passi necessari perché esso si trasformi. Trattenere tutto dentro, far finta di niente, “essere forti a tutti i costi” può sembrare l’unica scelta possibile magari perché hai responsabilità verso altri (figli, genitori anziani) o perché la società spesso si aspetta che dopo un po’ tu smetta di stare male. Ma reprimere completamente le emozioni di solito le prolunga e le complica. Se invece le riconosci e le vivi, anche a piccole dosi, esse col tempo si muovono, cambiano.

È come se il lutto fosse una ferita profonda: all’inizio fa malissimo e sanguina tanto, poi gradualmente inizia a rimarginarsi. Però perché una ferita guarisca bisogna prima pulirla e non ignorarla. Il dolore emotivo va “pulito” con le lacrime, con le parole, con i ricordi condivisi, anche con gli sfoghi di rabbia se servono (purché fatti in modo sicuro, ad esempio parlando con qualcuno o scrivendo ciò che provi, senza farti del male o farne ad altri). Dunque, il primo messaggio fondamentale è: qualsiasi cosa tu stia provando in questo momento va bene. Non sei sbagliato, non sei debole, non sei “matto”. Sei un essere umano che ha subito una perdita enorme e stai reagendo esattamente come il tuo cuore e la tua mente sono programmati per fare di fronte a un dolore del genere.

Come il lutto cambia nel tempo: dal dolore acuto alla crescita post-traumatica

In pieno lutto, è comune chiedersi con angoscia: “Tornerò mai a stare bene come prima?”. Forse anche tu ti stai facendo questa domanda. Magari hai paura che niente tornerà più normale, che sarai per sempre intrappolato in questa sofferenza. È una paura comprensibile. Quando il dolore è così presente, è difficile immaginare un futuro in cui si riesca di nuovo a sorridere sinceramente o a provare gioia senza sentire quella fitta di tristezza. Una parte di te potrebbe persino non voler stare “bene come prima”, perché questo significherebbe – pensi – dimenticare la persona amata o sminuire l’importanza della vostra relazione. C’è quasi un senso di lealtà nel dolore: “Se smetto di stare male, smetto di volerle bene”. Anche questo è un pensiero più comune di quanto credi.

La verità, per quanto paradossale, è che non tornerai la persona di prima – ma questo non significa che non potrai tornare a star bene. Mi spiego meglio: ognuno di noi cambia continuamente nel corso della vita, e le esperienze che viviamo – soprattutto le più intense, nel bene e nel male – ci trasformano. Dopo un lutto importante, non siamo più esattamente quelli di prima: quell’esperienza diventa parte di noi, del nostro bagaglio emotivo. In un certo senso, non si “guarisce” da un lutto tornando come prima, perché la perdita diventa parte integrante della nostra storia personale. Però si può integrare questa perdita nella propria vita in modo sano. Significa che potrai ritrovare equilibrio, progettualità, momenti di serenità e perfino di felicità, ma portando sempre con te, in un angolino del cuore, il ricordo e l’amore per chi hai perso. E questo non è un tradimento, anzi: è un modo per onorare quella persona, facendo sì che il tuo vivere porti anche traccia di ciò che hai imparato da lei, dell’eredità affettiva che ti ha lasciato.

Nei primi tempi del lutto sembra impossibile pensare di poter stare meglio. Ma il dolore cambia. Un giorno, senza che ci sia un momento preciso uguale per tutti, potresti accorgerti che quella ferita aperta ha iniziato a fare meno male. Magari ti sorprenderai a ridere per qualcosa, e subito dopo proverai un piccolo senso di colpa (“come posso ridere? davvero mi sto dimenticando di lui/lei?”). Oppure trascorrerai qualche ora distratto in un’attività e alla fine realizzerai che per un po’ non hai pensato costantemente alla tua perdita – anche questo può far scattare dei sensi di colpa. È importante che tu sappia che non stai tradendo nessuno nel concederti dei momenti di respiro dal dolore. La persona che hai amato non verrebbe certo a rimproverarti perché hai sorriso o perché per un attimo non hai pianto. Se ci pensi, probabilmente tu desidereresti che chi ami, dopo la tua morte, trovi ancora modo di vivere e di essere felice. Eppure quando tocca a noi, ci sentiamo in colpa a continuare a vivere. Ecco, cerca pian piano di dare il permesso a te stesso di vivere, anche se all’inizio può sembrare di fare un torto al ricordo. Non è così: la vita che continua non cancella ciò che c’è stato, né l’affetto.

Con il passare dei mesi (e degli anni), molti riferiscono che il lutto diventa come una cicatrice: c’è, si sente al tatto, magari ogni tanto fa ancora un po’ male se la si preme, però è chiusa, non sanguina più ogni giorno. La persona cara non viene dimenticata – quella fa parte di te per sempre – ma pensare a lei piano piano evoca non solo lacrime, bensì anche sorrisi di tenerezza per i ricordi belli. All’inizio magari ricordare fa troppo male e viene in mente solo il momento della perdita o la nostalgia lancinante. In seguito, può capitare di ricordare un episodio felice vissuto insieme e di sorridere attraverso una lacrima, sentendo insieme amore e tristezza, ma non solo disperazione. Questo mescolarsi di emozioni è un segnale che la ferita si sta cicatrizzando: l’amore pian piano prevale sulla sofferenza.

Un concetto di cui si parla in psicologia è quello di crescita post-traumatica. Significa che da eventi traumatici o dolorosissimi, col tempo, possono nascere nuove consapevolezze e punti di forza. Attenzione: questo non vuol dire che “allora è un bene che sia successo” – nessuno vorrebbe mai dover passare attraverso un lutto per crescere personalmente. Ma, dato che purtroppo la perdita è avvenuta ed è fuori dal nostro controllo, quello che è in nostro potere è decidere che significato darle nella nostra vita. Molte persone, a distanza di anni dalla perdita, guardandosi indietro si accorgono di essere diventate più forti di quanto pensassero, o di aver maturato nuove sensibilità. A volte il lutto ci rende più empatici verso la sofferenza altrui, perché abbiamo provato quel dolore sulla nostra pelle. Oppure ci fa rivalutare le priorità: chi ha vissuto un lutto magari smette di dare importanza a sciocchezze o litigi banali e si concentra di più su ciò che conta davvero. O ancora, può renderci più indipendenti e capaci, perché abbiamo dovuto affrontare cose difficili da soli. Insomma, paradossalmente il lutto può anche insegnarci qualcosa e farci crescere.

Forse queste parole sulla crescita ti suonano stonate, soprattutto se in questo momento sei nel pieno del dolore. Ed è giusto così: non c’è fretta di trovare insegnamenti o lati positivi quando si è ancora inondati dal lutto fresco. All’inizio si sopravvive, semplicemente. La crescita eventualmente la noterai dopo, a posteriori, guardando al cammino percorso. E non è nemmeno obbligatorio “diventare migliori” dopo un lutto – non sentirti sbagliato se l’unica cosa che provi al momento è sofferenza e magari rabbia con il mondo intero. Però sappi che la psiche umana ha risorse sorprendenti: spesso, dopo essere passati attraverso l’inferno, gli esseri umani trovano dentro di sé riserve di resilienza inaspettate. Magari anche tu scoprirai di avere un coraggio che non immaginavi, o una profondità d’animo nuova, o stringerai nuovi legami significativi proprio grazie a ciò che hai vissuto.

Un fattore molto importante nel modo in cui il lutto evolve è il supporto che ricevi e le strategie che adotti per affrontarlo. Ne parleremo a breve in modo approfondito, ma anticipiamo l’idea che il lutto non si affronta mai del tutto da soli. Anche se la sofferenza è intimamente tua e nessuno dall’esterno può “aggiustarla” magicamente, la presenza di altre persone intorno a te può rendere il peso più sopportabile. Al contrario, l’isolamento totale può peggiorare le cose. Nei prossimi paragrafi discuteremo di come si comportano spesso amici e parenti quando qualcuno subisce una perdita e di come queste reazioni esterne influenzino il tuo percorso di elaborazione del lutto.

Prima di passare a questo aspetto, voglio rassicurarti su una cosa: non esiste un tempo giusto uguale per tutti per elaborare un lutto. Ci sono persone che in pochi mesi sembrano tornare a una vita abbastanza serena e altre a cui servono anni. Ci sono lutti particolarmente laceranti – come la perdita di un figlio, ad esempio – dai quali forse non ci si riprende mai del tutto, e altri più “nel corso naturale della vita” – come la morte di un genitore anziano – che possono risultare più facilmente integrabili, pur rimanendo dolorosi. La relazione che avevi con la persona, le circostanze della morte, la tua personalità, le tue risorse interiori, il contesto di supporto: tutto questo influisce. Quindi non paragonare il tuo percorso a quello di altri. Se un collega tornato al lavoro dopo qualche settimana sembra già “normale”, non pensare che ci sia qualcosa che non va in te perché a te dopo sei mesi ancora viene da piangere ogni sera. Ognuno ha la sua storia. E attenzione anche al contrario: se senti di star meglio prima di quanto immaginassi, non colpevolizzarti e non pensare “allora non gli volevo abbastanza bene”. Ogni lutto è a sé: a volte la nostra mente riesce a compiere l’adattamento in modo più rapido e questo non sminuisce affatto l’amore verso chi non c’è più.

Riassumendo questa sezione: con il tempo, il dolore del lutto tende ad ammorbidirsi. Non sarai più quello di prima – una perdita importante ci trasforma – ma potrai trovare un nuovo equilibrio. Pian piano, ai pensieri di disperazione assoluta si sostituiranno pensieri di ricordo amorevole; accanto al dolore potrebbe farsi spazio persino una rinnovata capacità di apprezzare la vita (magari anche in onore di chi non c’è più, vivendo anche per la sua memoria). È un cammino lungo e tortuoso, con alti e bassi. Importante è non camminare completamente da solo e non perdere la speranza che da qualche parte, in fondo al tunnel, c’è una luce. Quella luce potrebbe non essere “come era prima”, ma può essere comunque calda e bella in modo diverso da come immaginavi.

Le relazioni durante il lutto: chi ti sta accanto e chi scompare

Uno degli aspetti più sorprendenti – nel bene e nel male – dell’esperienza di lutto riguarda il comportamento delle persone intorno a noi. Forse l’hai già notato anche tu: alcune persone che magari consideravi appena conoscenti si sono fatte molto presenti, mentre altre che pensavi amiche intime si sono dileguate, o magari ti hanno deluso con atteggiamenti insensibili. Nel pieno del dolore, queste dinamiche relazionali possono assumere un peso enorme. Un gesto di gentilezza e vicinanza da parte di qualcuno può commuoverti e sollevarti un po’, mentre un’assenza inaspettata può ferirti quasi quanto la perdita stessa. In questa sezione cercheremo di capire perché spesso accade questo, quali tipi di reazioni possono avere amici e parenti di fronte al tuo lutto, e come gestire queste situazioni per proteggere te stesso e, se possibile, non rovinare legami importanti.

Innanzitutto, dobbiamo riconoscere una triste realtà: la nostra società non ci insegna ad affrontare la morte, men che meno a stare vicino a chi soffre per una perdita. C’è un grande imbarazzo diffuso, una goffaggine collettiva quando si tratta di lutto. La morte è spesso vista come un argomento tabù, da evitare perché mette a disagio. Molte persone, magari in buona fede, pensano che “parlare della tua perdita ti farebbe solo stare peggio, quindi è meglio evitare l’argomento e distrarti”. Altri proprio non sanno che dire e temono di dire la cosa sbagliata, quindi preferiscono tacere o addirittura farsi vedere il meno possibile, in attesa che “ti passi”. Queste reazioni di evitamento non nascono dalla mancanza di affetto nei tuoi confronti, ma dalla paura e dall’impotenza che la morte scatena in chi ti circonda. Purtroppo, però, tu che subisci queste assenze o questi silenzi puoi finire per sentirti abbandonato proprio nel momento di maggiore bisogno.

Dall’altro lato, esiste anche un tipo di persone che reagisce in modo opposto: invece di fuggire dal tema, sembra quasi attratto dal dramma. Hai presente quelle persone che cominciano a raccontarti di tutti i lutti che hanno sentito, le storie tragiche di conoscenti e parenti, i dettagli morbosi? Come se ci sguazzassero. In effetti, qualcuno li chiama i “vampiri del dolore”: individui che, spesso inconsapevolmente, si nutrono delle disgrazie (proprie e altrui) come per esorcizzare le proprie paure. Possono essere amici, parenti o anche semplici conoscenti che all’improvviso diventano estremamente presenti, magari più per curiosità o per proiettare le proprie emozioni che per genuina volontà di aiutare te. Li riconosci perché tendono a monopolizzare il discorso su aspetti tristi, a volte parlano più loro di qualche loro perdita passata che ascoltare te, oppure sembrano quasi “troppo” desiderosi di partecipare al tuo dolore, in modo invadente. Questo atteggiamento può darti molto fastidio, e giustamente: in un momento in cui avresti bisogno di presenza discreta e sincera, trovarti attorno qualcuno che sembra fare melodramma o usare il tuo lutto come palcoscenico per le proprie emozioni può risultare insopportabile.

Insomma, ai due estremi abbiamo da una parte chi scappa dal lutto (l’elefante nella stanza di cui nessuno vuole parlare) e dall’altra chi ci si tuffa in maniera quasi morbosa. In mezzo, per fortuna, ci sono tante persone che, pur con qualche incertezza, cercano di starti accanto in modo equilibrato. Questi ultimi sono quelli che potremmo definire i veri amici, o comunque individui dotati di sensibilità empatica. Un vero amico spesso è colui che sa ascoltarti. Non deve per forza dirti frasi sagge o trovare soluzioni – tanto non ce ne sono – ma c’è, ti tiene la mano, ti lascia piangere, non ha paura dei tuoi silenzi o delle tue lacrime. Un amico ti chiede sinceramente come stai e poi resta lì ad ascoltare davvero la risposta, per quanto scomoda o dolorosa possa essere. Oppure, un amico capisce dai tuoi occhi che in quel momento non vuoi parlare e rispetta il tuo silenzio, ma ti fa sentire la sua presenza magari con un gesto affettuoso, un abbraccio, o standoti semplicemente vicino.

Purtroppo, come dicevamo, non tutti gli amici (o presunti tali) si comportano così. Potrebbe capitare, ad esempio, che una persona che consideravi molto vicina abbia scelto di non farsi vedere al funerale o di liquidare il tutto con un messaggio frettoloso. O magari c’è chi inizialmente era presente ma poi è sparito dopo poche settimane “come se nulla fosse successo”. Queste cose fanno male. Durante un lutto, le relazioni sono in forte pericolo di fraintendimenti e conflitti. Tu sei ipersensibile (giustamente) e ferito; dall’altra parte gli altri possono essere impacciati e timorosi. Basta poco perché nascano rancori: “Non è venuto al funerale, evidentemente non gli importava davvero di me”; “Non mi ha nemmeno chiamato, che amico è?”; oppure, al contrario, “È venuto tutti i giorni a casa mia senza invito e ha invaso i miei spazi: che modo di fare!”.

Ci sono poi i parenti. Ahimè, in certe situazioni di perdita familiare, oltre al dolore per la morte, emergono tensioni tra familiari stessi. Quante volte si sentono storie di litigi durante l’organizzazione del funerale, dissapori per questioni di eredità, rancori antichi che riemergono? Siamo vulnerabili, nervosi, e magari in disaccordo su come gestire le cose pratiche: terreno fertile per conflitti. Oppure, all’opposto, parenti con cui non avevi granché rapporto si fanno avanti comportandosi come i più addolorati del mondo, quasi a far scena, e questo può infastidirti o ferire te che sai qual era la realtà dei rapporti in vita. Ad esempio, lo zio che non vedevi mai si presenta e sta ore al capezzale come se fosse stato sempre presente, mentre tu magari vorresti solo un po’ di quiete. Situazioni del genere possono far ribollire il sangue.

Dunque, il lutto getta una luce cruda anche sulle nostre cerchie sociali: alcune relazioni si consolidano, altre si incrinano o si rompono. Non c’è una regola fissa, ma è molto comune che il dolore funzioni quasi come una lente d’ingrandimento sul vero volto delle persone accanto a noi. Scopri chi tiene davvero a te perché rimane, magari in modo discreto ma costante, e chi invece per vari motivi non c’è. Può darsi che rimarrai sorpreso: a volte amicizie recenti o conoscenze meno strette si riveleranno presenti e comprensive, mentre vecchi amici magari spariranno.

Allora viene spontaneo chiedersi: come comportarsi? Dovrei affrontare chi mi ha deluso? Dovrei chiudere rapporti? Oppure come accogliere chi invece si fa avanti?

Non c’è una risposta univoca, ma proviamo a ragionare. Innanzitutto, nel pieno del lutto non sei obbligato a decidere niente riguardo alle tue amicizie. Sei già sovraccarico emotivamente, non metterti anche il peso di sistemare le dinamiche con gli altri. Dai priorità a te stesso: frequenta e cerca chi ti fa stare anche solo un pochino meglio, e allontanati (temporaneamente o definitivamente, lo vedrai col tempo) da chi invece ti aggiunge stress. Ad esempio, se stare vicino a quel parente invadente ti irrita troppo, va bene anche gentilmente dire che hai bisogno di stare un po’ da solo o con altre persone. Se un amico è sparito e tu non hai energie per rincorrerlo, non sei tenuto a farlo. In questo momento sei tu quello ferito, e hai il diritto di ricevere supporto, non di doverlo dare o di doverti occupare del benessere altrui.

Detto ciò, cerchiamo di vedere le cose anche dalla prospettiva degli altri (questo magari col tempo, quando il dolore acuto si attenua un po’). Spesso chi ci delude durante il lutto non lo fa per cattiveria. Molti amici hanno paura di sbagliare, come dicevamo. Magari pensano: “Lo lascio tranquillo, quando vorrà farsi sentire sarà lui a chiamarmi… non voglio disturbare”. Oppure: “Non so proprio cosa dirgli, meglio evitare di toccare l’argomento, gli parlo di altro così si distrae”. In buona fede, possono fare proprio ciò che a te fa male. E tu magari interpreti: “Non gli importa nulla di quello che sto passando”. C’è dunque un grosso problema di comunicazione. Tu soffri e non riesci magari a chiedere esplicitamente “ho bisogno che tu sia qui con me”, loro stanno in disparte credendo forse di fare la cosa giusta o perché paralizzati dal non sapere come gestire la situazione. Risultato: incomprensioni e distanza.

Un suggerimento che può aiutare è quello della comunicazione aperta (per quanto possibile). Significa provare a esprimere, anche con semplicità, ciò di cui hai bisogno ai tuoi cari. Certo, sarebbe bello se gli altri “capissero da soli”, ma spesso non è così. Potresti dire a un amico: “Guarda, in questo periodo sto davvero male. Anche se sto in silenzio o piango, a me fa piacere se tu ogni tanto passi a trovarmi, anche senza dover parlare per forza. La tua presenza per me conta”. Oppure al contrario: “Ti ringrazio per la premura, ma a volte ho bisogno di stare un po’ da solo; ti chiederò io quando vorrò compagnia, non prenderla sul personale se ogni tanto mi chiudo, è il mio modo di affrontare la giornata”. Comunicazioni così dirette non sono facili quando si è in lutto, lo so – è già difficile alzarsi la mattina! – però possono evitare malintesi dolorosi. Se non te la senti di parlare direttamente, anche un messaggio scritto va bene. L’importante è far capire, con gentilezza, cosa ti aiuta e cosa no.

Parallelamente, bisogna accettare che non tutti saranno in grado di darti ciò di cui hai bisogno. E qui entra in gioco un concetto che possiamo chiamare responsabilità emotiva. Significa che, sebbene sia umanissimo aspettarsi e desiderare certi comportamenti dagli altri (vorremmo tutti amici perfetti capaci di sostenerci), alla fine l’unica cosa su cui abbiamo davvero potere è come gestiamo le nostre emozioni. Invece di consumarci nel rancore verso chi ci ha deluso, possiamo scegliere di concentrare le nostre energie su come affrontare il dolore (che purtroppo non se ne va se un amico sparisce – magari peggiora un po’, ma il grosso resta comunque sulle nostre spalle). Questo non vuol dire giustificare chi si comporta male o metterci una pietra sopra se qualcuno ci ha fatto soffrire con la sua assenza. Vuol dire però riconoscere che attribuire tutta la colpa del nostro star male agli altri ci lascia impotenti. Se penso “sto male perché Tizio mi ha abbandonato nel lutto”, sto delegando a Tizio il potere di farmi stare meglio (dovrebbe tornare, dovrebbe capire). Purtroppo Tizio può anche non capire mai, o non essere capace. Allora è più utile, per il nostro benessere, dire: “Ok, Tizio non c’è stato, e questo mi ferisce. Posso parlargliene quando me la sentirò, ma intanto di cosa ho bisogno? Forse di un altro amico? Forse di unirmi a un gruppo di supporto dove le persone capiscono cosa provo? Forse di rivolgermi a uno psicologo? O magari di scrivere un diario per sfogarmi?”. Cioè, prendersi la responsabilità di trovare modi per fronteggiare le emozioni, senza contare passivamente che sia qualcun altro a risolverle. Questo è un atto di forza interiore, che magari non è immediato riuscire a fare, ma col tempo può maturare.

Tornando alle tue relazioni concrete: col passare dei mesi potrai anche rivalutare alcune amicizie. Se qualcuno è stato totalmente assente e questo ti ha ferito, potrai decidere se parlargliene a cuore aperto (“ci sono rimasto male che tu non ti sia fatto vivo quando è morto papà”) oppure se lasciare che l’amicizia si affievolisca da sé. A volte, chiarire le cose porta a risanare il rapporto: magari l’altro si scusa, spiega le sue ragioni (es. non sapeva come gestirla perché anche lui troppo colpito, o era all’estero, o chissà) e si ritrova l’intesa. Altre volte ti rendi conto che quella persona forse non era poi così legata a te o non ha la maturità per starti vicino nelle difficoltà – e allora, doloroso dirlo, ma forse il lutto ha fatto un po’ di “pulizia” nelle cerchie, lasciandoti vicino meno persone ma quelle davvero affidabili. Non c’è una regola e non devi decidere subito. Col tempo, segui il tuo cuore e anche un po’ la ragione: chi ti ha dimostrato affetto e chi no?

Una situazione particolare è quando è il partner (marito, moglie, fidanzato/a) a non comprendere il tuo dolore. Purtroppo capita: magari perdi un genitore e il coniuge dopo un mese scalpita perché “sei sempre triste” o non capisce perché ancora piangi spesso. Questo può creare grosse fratture nella coppia. Se succede a te, potrebbe essere utile coinvolgere il partner nella tua elaborazione: parlargli apertamente di cosa provi, o anche invitarlo/a a qualche seduta da un terapeuta insieme, in modo che una terza persona spieghi e normalizzi che un lutto può durare molti mesi e che bisogna avere pazienza. Le persone che non hanno mai vissuto perdite significative a volte non capiscono davvero l’entità del dolore e pensano che tu stia “esagerando” o indulgendo nella sofferenza. Educare chi ti sta vicino (quando possibile) fa parte di quel lavoro di comunicazione di cui sopra. Di nuovo, non è giusto che tu debba pure “educare” gli altri mentre soffri, ma se la relazione per te è importante (pensiamo a un coniuge o a un amico fraterno), può valere la pena provare a far capire il tuo mondo interno.

Per completare la panoramica: se invece tu hai trovato grande supporto da parte di alcune persone, questo lutto, per quanto terribile, potrebbe aver rinsaldato legami preziosi. Spesso dalle tragedie nascono amicizie nuove o più forti: ad esempio, un vicino di casa con cui scambiavi solo saluti diventa quello che ogni sera passa a vedere come stai; oppure fra fratelli, la perdita di un genitore fa mettere da parte vecchi attriti e vi unisce di più nel comune dolore. Riconosci e apprezza questi gesti di presenza. Anche un solo amico empatico può fare la differenza nel tuo percorso. Non vergognarti di appoggiarti a queste persone: a volte chi sta intorno vuole sentirsi utile, vuole fare qualcosa ma non sa come. Se tu permetti loro di aiutarti (fosse anche solo accompagnandoti a fare la spesa quando non ne hai voglia, o facendoti una telefonata ogni tanto), in un certo senso fai un regalo anche a loro, perché dai loro modo di esprimere l’affetto che provano per te.

In conclusione, il lutto è un momento in cui si vedono le persone per quello che sono: c’è chi scappa, c’è chi resta, c’è chi invade. Cerca di non prendere decisioni affrettate nei periodi di dolore acuto, ma ascolta le tue sensazioni: se stare con certe persone ti fa stare meglio (anche solo un pochino), tienile vicine; se stare con altre ti fa stare peggio, tutelati. E sforzati, quando riesci, di comunicare i tuoi bisogni, perché non tutti hanno la sensibilità di capirli al volo. Le relazioni possono essere un’ancora di salvezza nel mare tempestoso del lutto, ma vanno navigate con attenzione per non incagliarsi in ulteriori sofferenze. Con il tempo, vedrai che saprai anche essere grato a chi c’è stato e forse perdonare o lasciar andare chi non è stato capace di esserci.

Il lutto come tabù sociale: quello che la società ti fa (o non ti fa) sentire

Viviamo in una cultura in cui la morte è spesso nascosta, medicalizzata, tenuta ai margini della vita quotidiana. Un paio di generazioni fa era più comune sperimentare da vicino la morte: i nonni morivano in casa, i bambini vedevano la famiglia riunirsi per il funerale, si portava il lutto (vestiti neri) per mesi o anni, quasi a segnalare costantemente alla comunità “attenzione, questa persona sta attraversando un dolore, trattatela con riguardo”. Oggi, in molti luoghi, non si usa quasi più portare il lutto visibile, e c’è un tacito presupposto che dopo il funerale la vita per gli altri vada avanti come prima. Questo contesto sociale può essere molto alienante per chi sta soffrendo per una perdita.

Probabilmente, trascorse le prime settimane in cui hai ricevuto molte attenzioni e messaggi di condoglianze, hai iniziato a percepire che il mondo intorno a te è ripartito. Il lavoro si aspetta che tu ritorni produttivo, gli amici magari danno per scontato che tu esca di casa e riprenda le routine consuete. Ma dentro di te nulla è normale. Ti sembra assurdo che tutto continui come se niente fosse, mentre per te è cambiato tutto. Questa sensazione può farti arrabbiare: “Com’è possibile che parlino di sciocchezze quando io ho il cuore a pezzi?”.

Il punto è che la società in generale ha paura del dolore. C’è quasi l’idea che il lutto sia come una malattia contagiosa: le persone vogliono che tu “guarisca” presto e torni com’eri prima, così non devono confrontarsi con la tua sofferenza (che ricorda loro la possibilità della propria sofferenza). Se dopo qualche mese stai ancora male, qualcuno potrebbe anche farti commenti fuori luogo tipo: “Devi reagire, la vita continua” oppure “Ancora così triste? Devi farti forza”. Frasi di questo tipo raramente aiutano – in realtà spesso fanno arrabbiare chi è in lutto, perché suonano come un giudizio o una minimizzazione. È un’altra manifestazione di come il lutto sia un po’ un tabù: chi non lo sta vivendo tende a non volerlo vedere troppo a lungo.

Culturalmente, c’è un paradosso: siamo bombardati da notizie di morte (i telegiornali, i film violenti), ma quando la morte tocca la cerchia vicina, molti non sanno come affrontarla. Alcune persone possono persino evitare chi ha subito un lutto perché non sanno come comportarsi – come se avessi un alone che ricorda loro qualcosa di scomodo. Questo può portare chi è in lutto a isolarsi ulteriormente per non sentirsi “fuori posto” tra la gente comune che ride e scherza. Magari hai provato questa sensazione andando al supermercato o a una riunione di lavoro: guardi le persone parlare di banalità e ti viene quasi da urlare, “Ma come fate? Non sapete che tragedia è successa?”. E ovviamente loro non possono sentire la tua voce interiore, e tutto procede in modo surreale.

Un altro aspetto sociale del lutto riguarda le ritualità religiose o civili. Per alcune persone, i rituali (come il funerale, la veglia, gli anniversari) sono momenti importanti per elaborare insieme la perdita. Per altri, sono vuote formalità. Dipende molto dalle tue convinzioni e dal contesto. Se hai fede religiosa, potresti trarre conforto dall’idea di un aldilà o dal sentirti sostenuto dalla comunità (ad esempio, in comunità religiose spesso dopo una perdita ci si stringe attorno ai familiari, si portano cibo, si fanno visite). Se non sei religioso, magari queste cose non fanno parte della tua vita, ma potresti comunque trovare utile creare tu dei rituali personali: ad esempio accendere una candela ogni sera in memoria, visitare regolarmente il cimitero o un luogo per te significativo, piantare un albero in ricordo della persona. I rituali, anche inventati da noi, hanno un potere psicologico: danno un contenitore al dolore, un modo tangibile per esprimerlo.

La società spesso non fornisce molti spazi per esprimere il lutto oltre il funerale. Dopo qualche giorno, tutti tornano alle proprie vite e chi è in lutto può sentirsi lasciato solo, come se il suo dolore dovesse essere messo a tacere. Ma il dolore ha bisogno di essere espresso, non taciuto. Negli ultimi anni per fortuna stanno nascendo anche in Italia gruppi di auto-mutuo aiuto per persone in lutto, in cui ci si può incontrare e parlare liberamente della propria perdita con altri che capiscono. Questi gruppi rompono proprio l’isolamento sociale che spesso segue un lutto, offrendo un ambiente dove la morte non è tabù e si possono condividere lacrime, ricordi, paure, senza sentirsi giudicati. Se senti che nel tuo ambiente nessuno ti capisce davvero, potresti cercare (anche online) se esistono gruppi di supporto nella tua zona o comunità virtuali dove chi ha perso una persona cara si confronta. Sapere di non essere l’unico a provare certe cose aiuta molto a sentirsi “normali” in un percorso così difficile.

Un fattore culturale forte è anche quello legato al lutto per suicidio, che tratteremo nella prossima sezione. Anticipiamo che in quel caso lo stigma sociale è ancora più accentuato: per molto tempo il suicidio è stato considerato quasi una vergogna da nascondere, e questo rende ancora più complesso per i familiari parlarne apertamente e ricevere supporto. Ma merita una discussione dedicata a parte.

In generale, nel contesto sociale odierno spesso la parola d’ordine è efficienza, produttività, “andare avanti”. Il lutto va un po’ controcorrente rispetto a tutto ciò, perché richiede tempo, immobilità, riflessione, emotività incontrollabile – cose che mal si adattano ai ritmi frenetici della vita moderna. Questa frizione fa sì che molte persone in lutto si scontrino con incomprensioni sul lavoro (datori impazienti, colleghi che evitano l’argomento), con amici che cambiano discorso se provi a parlare del defunto, con un generale senso di “non c’è posto per il mio dolore nel mondo là fuori”. Prenderne atto è già utile: capisci che non è un problema tuo personale, ma un difetto del contesto. Non sei tu che stai esagerando; è che la società spesso non sa come accomodare il dolore prolungato di qualcuno. Sapendolo, magari puoi darti il permesso di cercare attivamente quegli spazi e quelle persone che invece accolgono il tuo sentire, senza perdere tempo ad aspettarti comprensione da chi non ha gli strumenti per darla.

Un ultimo punto: nel contesto culturale italiano, in molti contesti c’è la tendenza a ricorrere a frasi fatte o credenze per consolare, che però a volte possono infastidire chi è in lutto. Ad esempio, “Dio chiama a sé i migliori” o “Era destino” o “Ora è in un posto migliore” – se tu sei credente magari trovi conforto in queste idee, ma se non lo sei o sei arrabbiato con Dio, frasi simili possono suonarti vuote o irritanti. Oppure: “Il tempo guarisce tutte le ferite”. Chi soffre adesso magari pensa “ma che ne sai tu?”. Insomma, a volte le persone, nel tentativo di dire qualcosa, tirano fuori dei cliché che possono fare più male che bene. Cerca di non dare troppo peso a parole maldestre; concentrati piuttosto sulle intenzioni: quel parente che ti dice “Coraggio, fatti forza” forse non sa cos’altro dire, ma nel suo goffo modo vuole spronarti; quell’amica che dice “lo sai che devi reagire, dai” magari è solo impotente nel vederti star male e vorrebbe vederti di nuovo sorridere. Non è sbagliato far notare, se hai confidenza, che certe frasi non ti aiutano. Per esempio: “Apprezzo che cerchi di tirarmi su, ma davvero in questo momento ho solo bisogno che tu mi ascolti, non che tu mi dica di farmi forza”. Così educhi un po’ chi ti sta attorno a sostenerti nel modo per te migliore.

Ricorda: il tuo dolore merita rispetto. Anche se il mondo sembra volerlo ignorare perché “sennò si intristisce”, tu hai diritto ai tuoi tempi e ai tuoi modi. Non devi nasconderlo per compiacere gli altri. Certo, magari in contesti sociali allargati preferirai non parlarne per non metterti a nudo con chi non capirebbe, ma scegli tu quando e con chi aprire quello scrigno di emozioni. Il lutto è un evento sociale oltre che personale: riguarda intere famiglie, comunità, a volte. E la società attuale deve re-imparare a fare i conti con la morte in modo sano. Nel tuo piccolo, circondandoti di chi mostra sensibilità e coltivando rituali o momenti di memoria, stai già andando controcorrente rispetto al tabù. Ed è un bene, per te e anche come esempio per chi verrà.

Il lutto per suicidio: dolore, stigma e complessità

Tra tutti i tipi di perdita, ce n’è uno particolarmente lacerante e complesso: la morte di una persona cara per suicidio. Se ti trovi purtroppo in questa situazione – hai perso un familiare, un partner, un amico per sua mano – sappi che il tuo lutto ha alcune caratteristiche specifiche che lo possono rendere ancora più difficile da attraversare. È come un lutto dentro il lutto: oltre al dolore della perdita, ci sono spesso sensi di colpa enormi, domande ossessive sul “perché”, talvolta vergogna o timore del giudizio sociale, e una rabbia che può essere pungente.

Quando una persona cara si toglie la vita, la mente di chi resta va in mille pezzi cercando di rimettere insieme un senso. Ci si sente traditi e abbandonati, perché la persona ha scelto (anche se vedremo, è una scelta dettata da una mente in estrema sofferenza) di andarsene, e allo stesso tempo ci si sente colpevoli, perché ci si chiede come non ci si sia accorti prima, cosa si sarebbe potuto fare per impedirlo. È comune che i familiari o amici più stretti si tormentino con pensieri tipo: “Se quella sera avessi risposto al telefono”; “Se non l’avessi lasciato solo”; “Se avessi insistito perché cercasse aiuto”; “Perché non ho capito che stava così male?”. Questo senso di colpa retrospettivo è quasi universale nei sopravvissuti al suicidio. Purtroppo è anche, nella grande maggioranza dei casi, ingiusto verso se stessi. Chi arriva al gesto estremo spesso nasconde deliberatamente agli altri la propria intenzione, oppure dava segnali che col senno di poi sembrano chiarissimi ma che nella quotidianità non erano affatto evidenti (o erano scambiati per altro). È importante, col tempo e magari con un aiuto professionale, arrivare a capire che tu non sei responsabile del suicidio altrui. È normale sentirsi in colpa, ma non è una colpa razionale. È più un modo in cui il nostro amore continua a voler “salvare” quella persona anche dopo la morte: preferiamo dar colpa a noi stessi (che eravamo lì) piuttosto che accettare che forse nulla avrebbe potuto cambiare quel destino, perché la decisione ultima è stata dell’altro.

In molti casi, chi perde qualcuno per suicidio prova anche rabbia verso chi se n’è andato. Questo può sembrare stridente: come faccio ad arrabbiarmi con qualcuno che evidentemente stava così male da togliersi la vita? Eppure succede, ed è umano. Ci si arrabbia perché quella persona ha causato a noi un dolore immenso, perché magari ha lasciato dei figli, perché “come hai potuto farci questo?”. Questa rabbia può essere accompagnata da un senso di vergogna nel confessarla (“sono un mostro a pensare così di mio fratello che è morto?”). Non sei un mostro. Stai cercando di dare un senso a un gesto che senso non ha dal punto di vista di chi resta. La rabbia è una reazione alla sensazione di abbandono e all’impotenza che si prova.

Lo stigma sociale purtroppo gioca un ruolo forte nel lutto da suicidio. Nonostante la sensibilità sul tema stia aumentando, c’è ancora un’aura di tabù. Alcune famiglie addirittura nascondono la causa della morte, inventando un malore improvviso o un incidente, per evitare il marchio del suicidio. Questo ovviamente impedisce di elaborare correttamente il lutto, perché aggiunge segretezza e isolamento. Se tu ti senti evitante nel dire agli altri la verità sulla morte del tuo caro, sappi che è comprensibile: temi sguardi di pietà, domande invadenti, o perfino giudizi (ci sono ancora persone ignoranti che pensano che il suicidio sia un “atto di egoismo” o un peccato imperdonabile, e queste idee possono ferire terribilmente chi già soffre). Scegli tu con cura con chi parlare apertamente. Non devi dirlo a chiunque se non te la senti. Però avere almeno una o due persone – amici stretti, parenti fidati, un professionista – con cui puoi invece essere totalmente sincero riguardo a come sono andate le cose è fondamentale. Tenersi tutto dentro, fingere che sia stato altro, è un peso psicologico enorme che si somma al dolore.

Considera che esistono gruppi di supporto specifici per parenti e amici di suicidi. In questi contesti non c’è alcuno stigma, tutti condividono quel tipo di esperienza. Può essere estremamente liberatorio parlare con altri “survivors” (così vengono chiamati, i sopravvissuti al suicidio altrui) perché solo chi c’è passato può capire fino in fondo quelle domande senza risposta che ti tengono sveglio la notte. Informarsi su queste risorse (tramite ASL, associazioni di volontariato, internet) può farti sentire meno solo.

Un altro elemento specifico è la ricerca del perché. In ogni lutto si cerca un senso, ma nel suicidio questa ricerca può diventare un’ossessione. Si analizzano gli ultimi giorni, gli ultimi mesi, ogni parola detta o non detta, i possibili problemi che quella persona aveva. Si leggono magari i suoi messaggi, le sue email, si scava tra le sue cose cercando un biglietto d’addio o un indizio. È normale voler capire. Purtroppo, anche quando un biglietto c’è ed esplicita qualche motivo, il “perché” profondo spesso resta un mistero insondabile. Il suicidio è l’atto finale di uno stato di sofferenza mentale (depressione, disperazione, percezione distorta della realtà) che noi dall’esterno non possiamo decifrare completamente. Anche se quella persona era a noi vicinissima, c’era una parte di lui/lei che evidentemente era nascosta, o che noi non potevamo raggiungere. Accettare che non avremo mai tutte le risposte è durissimo, ma fa parte dell’elaborazione di questo tipo di lutto. Col tempo, bisognerà cercare di fare pace con l’idea che la mente del nostro caro è andata in un “luogo” di dolore dove noi non potevamo seguirlo né trarlo in salvo.

Dal punto di vista pratico ed emotivo, il lutto per suicidio unisce aspetti del lutto per una morte improvvisa (lo shock, la sensazione di irrealtà iniziale – “no, non può averlo fatto davvero”) e del lutto per una morte violenta (il trauma, specie se si è assistito direttamente o si è visto il corpo, immagini che possono perseguitare a lungo). Non esitare a cercare aiuto psicologico specializzato in questi casi: non perché “sei debole”, ma perché è un evento talmente fuori dal comune carico emotivo che un professionista può davvero fare la differenza nell’aiutarti a sbrogliare i fili di colpa, rabbia, trauma, amore, che si intrecciano. Esistono interventi di postvention (così si chiama l’aiuto dopo un suicidio) proprio mirati a prevenire complicazioni come disturbo post-traumatico da stress o depressione grave in chi resta.

È importante anche celebrare e ricordare la persona al di là della sua morte. Spesso chi perde qualcuno per suicidio teme che tutta la memoria di quella persona venga ridotta al modo in cui è morto. Ma quella persona era molto di più del suo ultimo gesto. Aveva qualità, talenti, momenti belli condivisi con te. Continuare a parlarne, ricordare anche le cose positive, è un modo per onorarlo senza tabu. Certo, in pubblico magari non ti senti di farlo (proprio perché temi lo stigma), ma con chi sai che capisce, non esitare a dire il nome di quella persona, a raccontare aneddoti di vita. Non deve essere ricordato solo come “il suicida”; era tuo figlio, tuo fratello, tua moglie, il tuo amico. Aveva un sorriso, aveva passioni. Tener viva la sua memoria integrale – e non solo la tragica fine – aiuta anche a contrastare quella narrativa orribile e semplificante che spesso la società tende a fare.

Infine, il suicidio di una persona cara può portare a volte a un senso di fallimento personale profondo. Soprattutto un genitore che perde un figlio in questo modo, o un coniuge, può sentire che la propria vita è stata “vanificata”: “Non sono stato in grado di proteggere chi amavo”. Questo pensiero può sfociare in depressione e in perdita del senso stesso della propria esistenza. È fondamentale in questi casi che tu non rimanga solo con questi sentimenti. Se ti accorgi che col passare dei mesi non fai che sprofondare sempre più nell’angoscia o nella depressione, considera seriamente un sostegno psicologico continuativo. Ci sono terapie specifiche per il lutto complicato (perché questo è, un lutto complicato). Non è una vergogna né tantomeno significa che impazzirai: al contrario, è un gesto di coraggio e cura verso te stesso. Così come ci si riabilita dopo un grave incidente fisico, la mente ha bisogno di riabilitazione dopo un trauma così grande.

In conclusione su questo tema doloroso: il lutto per suicidio è un’esperienza che purtroppo solo chi vive può capire fino in fondo. Richiede doppia gentilezza verso se stessi. Tutte le “regole” del lutto di cui abbiamo parlato valgono, ma qui serve ancora più tempo, ancora più supporto e molta pazienza. Non devi avere paura di parlare di suicidio, almeno con chi ti senti al sicuro nel farlo. Trovare qualcuno che ascolti senza giudicare (che sia un amico, un terapista, un gruppo) è davvero importante per non rimanere incastrati nel silenzio e nella vergogna. E ricorda: non è colpa tua. Lo ripeterò finché serve: chi si toglie la vita è vittima di un dolore psichico insopportabile, di malattia mentale spesso (depressione grave, disturbi etc.), o di circostanze che lo hanno fatto sentire senza via d’uscita. Non ha compiuto quel gesto per ferire te. Non sei stato tradito veramente, anche se può sembrarlo. Era un atto legato alla sua sofferenza, non un messaggio di mancanza d’amore verso di te. So che emotivamente può volerci tanto per crederci davvero, ma spero che un giorno tu possa fare pace con questa verità e liberarti dal macigno della colpa.

Prendersi cura di sé durante il lutto: strategie per affrontare il dolore giorno per giorno

Dopo aver esplorato il turbine di emozioni, le dinamiche con gli altri e gli aspetti particolari di certi tipi di lutto, arriviamo a una domanda pratica: come puoi affrontare concretamente le tue giornate mentre vivi questo dolore? Non esistono formule magiche o ricette valide per tutti, ma qui raccogliamo alcuni suggerimenti e riflessioni che derivano sia dall’esperienza di chi c’è passato, sia dalle conoscenze psicologiche su cosa aiuta nell’elaborazione del lutto.

1. Dai spazio alle tue emozioni, ma in modo sicuro. Come già sottolineato, è importante non reprimere tutto. Ci saranno momenti in cui sentire il dolore è inevitabile e salutare. Se ti senti sopraffare dalla tristezza, concediti quel pianto liberatorio; se sei arrabbiato, sfoga quella rabbia magari colpendo un cuscino, scrivendo una lettera (che non spedirai) in cui urli tutto quello che provi, o parlando con qualcuno di fidato. Alcune persone trovano sollievo anche attraverso attività creative: scrivere un diario del lutto, poesie, dipingere il proprio stato d’animo, comporre musica. L’arte può essere un contenitore potente per il dolore. L’importante è che l’emozione esca in qualche forma. Certo, non puoi vivere 24 ore al giorno in lacrime o in preda alla rabbia: per questo dico “in modo sicuro”. Significa ritagliarti magari dei momenti e luoghi in cui sai di poter abbassare le difese (ad esempio a casa la sera, o con quella particolare amica comprensiva), e lasciar andare le lacrime o le parole. Se senti che stai sempre trattenendo perché magari devi far vedere ai figli che tieni duro, allora trova almeno uno spazio (fosse anche in macchina da solo, o sotto la doccia) dove molli il freno e senti quello che c’è da sentire.

2. Alterna il dolore con pause di respiro. Vivere le emozioni non significa esserne sommersi senza tregua. È importante anche sapersi prendere ogni tanto una pausa dal lutto. E non c’è nulla di sbagliato in questo. Anzi, la ricerca sul lutto ha mostrato che le persone spesso adottano proprio un processo di “andare e venire” dal dolore: un po’ si sta nel sentimento, un po’ si cerca distrazione o si svolgono attività quotidiane. Questa oscillazione è sana e aiuta a non esaurirsi. Quindi va benissimo se a tratti “stacchi la spina”: guardi una serie TV, esci per una passeggiata, cerchi la compagnia di persone con cui parlare d’altro. Non è superficialità, è sopravvivenza. Il cervello ha bisogno di micro-intervalli di normalità per ricaricarsi. Magari all’inizio sono pochissimi e brevissimi, col tempo diventeranno più lunghi. Non forzarti troppo, ma neppure negarti quei momenti quando capitano. Se ti accorgi che per mezz’ora mentre cucinavi non hai pensato intensamente al tuo caro e quasi ti sei rilassato ascoltando la radio, va bene. Non devi sentirti in colpa; è un segno che sei umano e che il tuo sistema nervoso si autorregola come può.

3. Abbi cura di te fisicamente. Il corpo durante il lutto subisce un forte stress. Potresti avere disturbi del sonno, cambi d’appetito (chi perde la fame, chi mangia di più per conforto), potresti sentirti spossato fisicamente, avere dolori, mal di testa, ecc. È importante cercare di mantenere qualche routine di base: mangiare un po’ e in modo nutriente (anche se non hai molto appetito, cerca di non vivere di solo caffè o alcol – l’alcol in particolare è da limitare, perché se da un lato anestetizza temporaneamente, dall’altro può peggiorare l’umore e dare dipendenza, ed è facile scivolarci dentro in questi momenti), dormire quanto puoi (se hai insonnia grave magari parla col medico: per brevi periodi anche qualche aiuto farmacologico leggero può essere utile, il sonno è fondamentale per reggere emotivamente), fare un minimo di movimento. So che quando si è depressi dal lutto viene voglia di stare solo sul divano. Non devi forzarti a fare grandi attività fisiche se non te la senti, ma prova almeno una passeggiata breve ogni giorno. L’aria aperta e il movimento rilasciano un po’ di endorfine, danno un segnale al corpo che la vita continua. Anche se non ne hai voglia, magari inizia con 10 minuti intorno all’isolato. Spesso quel piccolo sforzo iniziale poi ti fa sentire leggermente meglio. E se anche non succede, almeno avrai mosso il corpo, che è comunque salutare.

4. Stabilire piccole routine quotidiane. Quando tutto è sconvolto, può aiutare appigliarsi a qualche routine semplice: bere il caffè ogni mattina a una certa ora, fare la doccia, riordinare la casa un pochino. Attenzione: non intendo riempirti di doveri o cose pesanti, sarebbe controproducente. Penso più a rituali quotidiani che diano struttura alle giornate. Il lutto a volte porta con sé apatia e mancanza di motivazione, per cui il rischio è di rimanere in pigiama tutto il giorno senza scopo. Conceditelo per un periodo se serve, ma poi prova a reintrodurre pian pianino un ordine: ad esempio, “ogni mattina porto fuori il cane” o “mi vesto e faccio una piccola commissione”. Anche il rito di accendere quella candela ogni sera può essere una routine significativa: un momento dedicato a pensare al tuo caro, quasi un appuntamento giornaliero con il ricordo, che delimita quel tempo, e poi ti dedichi al resto.

5. Non esitare a farti aiutare professionalmente. Abbiamo parlato di amici, gruppi, ecc., ma vale la pena ribadirlo: uno psicologo/psicoterapeuta può essere un alleato prezioso nel percorso di lutto. Qualcuno pensa “ma il lutto non è mica una malattia, perché dovrei andare dallo psicologo?”. Vero, il lutto in sé è un evento naturale della vita, non è una patologia. Tuttavia, quando la sofferenza è molto intensa o prolungata, oppure quando ci sono complicazioni (traumi, rimorsi irrisolvibili, depressione che si innesca), un professionista può aiutare a elaborare più a fondo. Non perché abbia la bacchetta magica, ma perché ti offre uno spazio protetto dove portare qualsiasi pensiero o emozione, anche la più indicibile, e lavorarci su. Ci sono percorsi di terapia del lutto specifici, in cui ad esempio si può fare la “tecnica della sedia vuota” per parlare simbolicamente col defunto, oppure costruire insieme il modo di conservare un legame significativo con chi è morto. Già, perché oggi si parla molto di continuing bonds (legami continui): l’idea che non dobbiamo per forza “lasciar andare del tutto” i nostri cari, ma trovare una forma sana di rapporto interno con loro. Ad esempio, custodire gli insegnamenti che ci hanno dato, parlare loro nella propria mente nei momenti importanti, portare avanti qualche progetto che avevate insieme o che a loro stava a cuore. In terapia si può esplorare tutto questo, dando dignità alla tua esperienza. Se non ti va di andare da uno psicologo individualmente, considera anche i gruppi di mutuo aiuto con facilitatore psicologo: a volte alcune ASL o enti li organizzano gratuitamente.

6. Attenzione alle date e agli “trigger” (inneschi emotivi). Ci saranno giorni che saranno particolarmente duri: anniversari (un mese, un anno dalla morte), il compleanno del defunto, le feste (Natale, altre ricorrenze familiari) e tutti quei momenti che normalmente avresti condiviso con quella persona. Sapere in anticipo che quei giorni potrebbero essere emotivamente critici ti permette di organizzarti. Potresti decidere di non passarli da solo: ad esempio, il giorno dell’anniversario magari inviti alcuni amici stretti o parenti e insieme fate qualcosa in memoria (una messa, una visita al cimitero, o anche solo una cena dove brindate ricordandolo). Oppure, se preferisci la solitudine, prenditi quel giorno libero dal lavoro se possibile e dedicati a ciò che senti di fare (anche stare a letto a piangere va bene, se è ciò di cui hai bisogno). L’importante è non farsi trovare del tutto spiazzati: pianifica sapendo che “il giorno X potrei stare molto male, quindi mi preparo così…”. Anche luoghi o canzoni possono accendere forti ricordi: la prima volta che torni in un luogo dove andavate insieme, o senti la vostra canzone, può arrivare una frustata di dolore. È normale. Col tempo, esponendoti gradualmente a questi trigger, li renderai un po’ più tollerabili. Non c’è bisogno di evitarli per sempre, ma neppure buttarcisi a capofitto subito se non te la senti. Ad esempio, potresti rimandare di un po’ il riordinare gli oggetti personali di chi è morto finché non ti senti pronto (a meno che circostanze pratiche non ti obblighino, ovviamente). O potresti andarci con qualcuno ad affrontare quell’evento (tipo svuotare l’armadio insieme a un familiare invece che da solo).

7. Coltiva la memoria in modo positivo. Quando il dolore acuto si attenua, molti trovano beneficio nel fare qualcosa di significativo per ricordare la persona. Potresti voler creare un album di foto o un diario di ricordi, in cui scrivi aneddoti belli del passato. Oppure fare volontariato o donazioni a un’associazione che riguarda una causa a cui il tuo caro teneva. C’è chi istituisce una borsa di studio, chi pianta un albero, chi incornicia una sua lettera o un suo disegno e lo tiene in casa. Questi gesti aiutano a trasformare parte del dolore in amore attivo. Non tutti hanno voglia di farlo, specialmente subito, ma col tempo può essere terapeutico. Ad esempio, se la persona è morta di una certa malattia, impegnarti per una campagna di sensibilizzazione su quella malattia può darti la sensazione che dalla tua perdita nasca qualcosa di utile per altri – una sorta di eredità significativa.

8. Sii paziente e gentile con te stesso. Forse questo è il consiglio più importante di tutti. Non esistono performance nel lutto. Non devi dimostrare niente a nessuno, né rispettare tempi che altri si aspettano. Trattati con la stessa compassione che avresti per un caro amico se stesse vivendo la tua situazione. Spesso siamo capaci di grande empatia verso gli altri ma durissimi verso noi stessi. Se c’è un momento in cui devi perdonarti ogni debolezza, ogni passo indietro, ogni sfogo, è questo. Un giorno pensavi di stare un po’ meglio e quello dopo ricadi nello sconforto? Non significa che sei tornato al punto di partenza: fa parte dell’andamento oscillante di cui parlavamo. Non dirti “dovrei fare di più, reagire”. Il verbo dovere sarebbe da bandire in lutto. Tu fai quello che puoi, e già alzarti e arrivare a sera è un successo, anche se magari hai pianto dieci volte in mezzo. Ci vuole un coraggio immenso ad affrontare i giorni con un peso simile nel cuore, quindi ricordati che anche se ti senti fragile, in realtà stai dimostrando ogni giorno una grande forza semplicemente andando avanti.

9. Accetta che alcune persone non capiranno. Ci sarà chi, pur volendoti bene, non riuscirà ad entrare in sintonia con il tuo dolore prolungato. Invece di frustrarti o cercare disperatamente di essere compreso da chi non può capire, cerca altrove la tua tribù empatica. Lo abbiamo detto prima ma vale la pena ripeterlo: non tutti hanno vissuto ciò che hai vissuto, quindi non tutti sapranno starti vicino come vuoi. Non insistere a cercare l’empatia proprio dalla persona meno sensibile. Meglio investire energie nelle relazioni che senti più “sicure” emotivamente. E con chi proprio non capisce, pazienza: puoi volergli bene lo stesso, ma su questo argomento magari non ti aprirai più di tanto. Ci sono amicizie magari leggere che vanno bene per distrarti e ridere un po’, e altre più profonde a cui affidare le tue lacrime. Va bene così; non tutti i rapporti devono avere tutto.

10. Tieni a mente che il tuo caro vorrebbe vederti stare meglio. Questo pensiero a volte dà forza: immagina la persona che hai perso, che magari in vita ti amava tanto. Vorresti che tu stessi male in eterno? Difficilmente. Spesso chi muore, se potesse parlarci, direbbe “non piangere troppo per me, vai avanti, sii felice”. Non dico di reprimere la tristezza per fare contento l’ipotetico defunto – no, la tristezza va vissuta. Ma ogni tanto, quando ti sembra di non avere motivi per risollevarti, potresti provare a fare qualcosa di buono per te stesso come se fosse un ultimo regalo che quella persona vorrebbe che tu ti facessi. Ad esempio, accettare quell’invito a cena e provare a distrarti potrebbe essere visto come “lo faccio perché so che lui/lei ci terrebbe che io non mi chiuda in casa”. Oppure prenderti cura della tua salute (“devo curarmi, perché mia moglie avrebbe voluto che non trascurassi la mia dieta anche se lei non c’è più”). Non è facile, ma può dare una spinta in più quando la motivazione personale scarseggia.

Arriverà un giorno in cui, voltandoti indietro, ti renderai conto di quanta strada hai fatto. Forse ti accorgerai che, pur portando sempre nel cuore la mancanza, hai trovato nuovi interessi, nuove persone, o hai riscoperto gioie che pensavi perdute per sempre. Forse quel giorno sarai in grado di dire: “Ho sofferto immensamente, mi mancherà per sempre, ma ce l’ho fatta a sopravvivere e a dare ancora valore alla mia vita”. Questo non significa assolutamente dimenticare. Significa, piuttosto, integrare la perdita nel tessuto della tua esistenza. Come un filo scuro in un tappeto: c’è, rimane visibile, ma fa parte del disegno complessivo della tua vita insieme a tanti altri fili colorati di esperienze, ricordi, relazioni.

Prima di chiudere, spendiamo due parole sul “superare” il lutto. Abbiamo scelto il titolo di questo articolo parlando di “attraversare” e di “affrontare” il dolore, più che “superarlo”. Infatti, molti professionisti ormai preferiscono termini come elaborare o integrare il lutto, invece di “superare” o “lasciarsi alle spalle”. Perché “superare” in italiano dà l’idea di scavalcare e lasciarsi dietro qualcosa, quasi cancellandolo. Invece il lutto per una persona cara non si cancella. Si elabora, che significa letteralmente “lavorarci su”, trasformarlo. L’obiettivo non è dimenticare o far finta che non sia accaduto, ma poter ricordare senza che quel ricordo provochi solo dolore acuto, e tornare a investire energie vitali nel presente e nel futuro. Ci sarà sempre una parte di malinconia quando penserai a quella persona – ed è giusto, perché se è stata importante, un po’ di nostalgia rimarrà. Ma non ti impedirà di vivere.

Quindi, non temere: non perderai per sempre il legame con chi hai amato. Quel legame cambia forma, si sposta dentro di te. Diventa memoria, valori, carattere, esperienza. In qualche modo, le persone che abbiamo amato continuano a vivere in noi. Questo non è solo un modo di dire poetico: pensa alle piccole cose di te in cui riconosci l’influenza di quella persona, in cui senti che porti avanti una parte di lei/lui. Può essere l’umorismo che avevate in comune, una passione che vi legava e che tu continui a coltivare, o anche semplicemente l’amore che ora trasmetti ad altri, magari imparato da come quella persona ti amava. Niente potrà toglierti questo.

Conclusione: dal dolore all’amore che resta

Arrivato a questo punto della lettura (che è stata lunga – proprio perché il tema è vasto e importante), spero tu abbia trovato qualche spunto utile, o almeno ti sia sentito compreso nelle tue emozioni. Abbiamo percorso insieme vari aspetti: l’onda di emozioni che ti travolge quando perdi qualcuno, come questo dolore cambia nel tempo, come intorno a te le persone possono reagire in modi diversi e cosa fare in proposito, come il contesto sociale a volte non aiuta (ma si può cercare supporto altrove), e infine alcune strategie per prenderti cura di te e pian piano uscire dalla fase più buia.

Non esiste un finale netto nel processo di lutto. Non c’è un giorno in cui ti svegli e dici “ok, tutto passato”. Piuttosto, a poco a poco ti accorgerai che i giorni brutti diminuiscono e quelli sopportabili aumentano. Che il pensiero della persona provoca sì tristezza, ma anche un sorriso ricordando momenti belli. Che riesci a sentirti grato del tempo avuto insieme, anziché solo disperato per quello perduto. Significa che la ferita nel cuore si sta cicatrizzando. Forse la ferita non si chiuderà mai del tutto; dopotutto, l’amore lascia un segno indelebile. Ma quel segno può diventare una cicatrice d’amore, non solo di dolore. Potrai portarlo con te con fierezza persino, come a dire: “Guarda quanto ho amato e quanto amo ancora. E grazie a quell’amore oggi sono la persona che sono, con tutta la profondità che questa esperienza mi ha dato”.

Nel cammino del lutto, ricorda che ogni passo conta, anche quelli incerti o quelli indietro. Stai facendo del tuo meglio in una situazione che non avresti mai voluto. Ci vuole coraggio per affrontare certi giorni, e tu lo stai dimostrando. Se cadi, rialzati piano, senza giudicarti. Se hai bisogno di aiuto, chiedilo senza vergogna. Se hai bisogno di piangere, fallo senza timore del giudizio (le lacrime sono un linguaggio universale del cuore). Non vergognarti delle tue lacrime: sono il segno che hai amato profondamente. Le tue lacrime per la persona cara sono il prezzo naturale di un amore grande: non scambiarle per debolezza, esse testimoniano la forza del legame che vi univa.

Spero che, un passo alla volta, tu possa trovare la tua strada attraverso questo lutto. Magari con qualche compagno di viaggio al tuo fianco, magari scoprendo risorse che non sapevi di avere. La vita che ti attende non sarà quella di prima, sarà diversa – ma non per questo meno degna di essere vissuta. Un giorno potrai guardare il cielo, pensare a chi hai perso con un senso di pace, sentendolo accanto a te in modo nuovo, e nello stesso tempo continuare il tuo cammino con la voglia di vivere che pian piano ritorna.

Nel frattempo, abbi cura di te. Concediti di essere fragile e forte, disperato e speranzoso, tutto insieme. Così come l’oceano della tua sofferenza contiene tante onde diverse, anche tu contieni moltitudini di emozioni e capacità. Dentro di te c’è il dolore, ma c’è anche l’amore che quella persona ti ha dato, e la forza della vita che piano piano spinge per andare avanti. Fidati di quella forza, anche se adesso la senti appena: è lì, e ti porterà attraverso la notte.

Un abbraccio – forte, seppur virtuale – a te che hai letto fino a qui. Non sei solo nel tuo lutto: c’è una grande comunità umana che condivide l’esperienza universale della perdita e dell’amore che rimane. Passo dopo passo, troverai il modo di portare con te la memoria di chi hai amato e di tornare a vedere l’alba dopo questa lunga notte. ❤️

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